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  • Borioni: Inter-Juve, rivali per forza

    Borioni: Inter-Juve, rivali per forza

    Inter-Juventus è una partita infinita, uno specchio in cui si riflette il cosiddetto derby d’Italia. Quello che una volta, quando la poesia aveva la meglio sul cinismo, veniva anche definito come il match tra le “fidanzate d’Italia”: altri tempi. Oggi lo specchio, arroventato, riflette due immagini fieramente contrapposte che – come spesso capita in questi casi – finiscono per assomigliarsi. Forse è anche così che si spiega tanta rivalità. Per una sete di vittorie storicamente condivisa e mai esaurita, che quando risulta soffocata sotto forma di crisi decennali – come ad esempio nell’Inter del dopo Trapattoni e del primo Moratti o nella Juve sventrata da Calciopoli – produce nuovi refoli di rabbia e rafforza le distanze. Nota di carattere personale: è stato entusiasmante osservare questa solida rivalità dalle redazioni di Tuttosport e della Gazzetta dello Sport, osservatori privilegiati. 

    Da una parte i bauscia milanesi, dall’altra i torinesi-bene. Da una parte l'ironia cinica, dall'altra il basso profilo apparente. Da una parte la voglia di strafare, dall'altra il senso misurato del dovere. Due facce del potere economico e quindi politico in Italia, non solo sportivo. Negli anni la sfida si è rinnovata e i nuovi interpreti si sono adeguati al copione. Buffo che uno come Roberto Mancini sia diventato l’anti-Juve per eccellenza, lui che da bambino viaggiava sul pullman dei tifosi bianconeri di Jesi per le trasferte al seguito della squadra del cuore. La stessa squadra trafitta a parole durante le schermaglie dello scudetto assegnato a tavolino (per decisione di un commissario federale di dichiarata fede nerazzurra) e poi trafitta con un successo conquistato in Turchia, quando il Galatasaray chiuse la porta della Champions in faccia a Conte. 

    Inter ieri e Inter adesso per il Mancio, oggi nuovamente leader di una squadra solida, rimane da capire fino in fondo se anche talentuosa. Dall’altra parte Allegri, un altro ex bambino infatuato di Juve, con trascorsi significativi da allenatore sulla sponda milanista e infine al comando di una pattuglia bianconera rinnovata, anzi rivoluzionata dopo quattro scudetti di fila, meno sfrontata, meno efficace perché più acerba eppure potenzialmente ancora al top. Resta da capire quanto. Allegri che non è solito guidare le mosse di mercato del proprio club come invece sa fare mirabilmente Mancini. Differenze di impostazione. Allegri che abbozza e poi lancia segnali dal campo. Mancini che basa le partite sulla muscolarità del centrocampo e cerca il colpo a sorpresa, quello letale. Allegri che si nasconde, elude le attese e quando trova quello stesso colpo letale in partita preferisce gestirlo con accorgimenti, invece che alimentarlo di troppe ambizioni. Entrambi concreti e pragmatici, allenatori diversamente all’italiana. 

    Differenze e coincidenze pure nello stile dei frontman d’attacco. Mauro Icardi è spigoloso e irriguardoso, non gli importa altro che fare gol. Senza guardare in faccia a nessuno. Alvaro Morata concede molto alla platea, si carica e si esalta da vero matador, quando segna il gol che decide, che risolve. Entrambi sono bomber in via di affermazione che dominano già il futuro. E ancora: Felipe Melo ovvero l’investimento sbagliato dalla Juve e restituito a un ruolo di primo piano dall’Inter. Hernanes ovvero l’investimento sbagliato dall’Inter e riproposto in un modo o nell’altro dalla Juventus in zona Pirlo, anche lui della serie "doppia vita". Rivincite in corso.  

    Lo specchio tra Inter e Juve riflette inevitabile l’eredità di Calciopoli, con le duplici versioni di Ibrahimovic e Vieira, il passaggio di testimone telecomandato al vertice del campionato, le ferite rimaste aperte e destinate a non rimarginarsi. Soprattutto con le differenti visioni societarie. I Moratti e gli Agnelli, i Facchetti e i Moggi. I veleni e le ironie. Ma anche con qualche punto di contatto, tipo Marco Fassone, ex dg dell’Inter partito proprio dalla sponda bianconera e magari destinato a un nuovo approdo torinese. Trapianti difficili, con crisi di rigetto. Fino allo scenario attuale solo in apparenza mutato: Erick Thohir che segue a modo suo il solco della tradizione, Andrea Agnelli che ha recuperato e rilanciato l’abitudine alle vittorie. Risultato: la competizione è più che mai viva, a tutti i livelli.

    E l’imminente sfida arriva con i presupposti di sempre ma su basi rovesciate: dopo 7 giornate l’Inter è 8 punti avanti, la Juve ha all’attivo ben 3 sconfitte. Anche se la distanza tra le due rivali questa volta è notevolmente favorevole ai nerazzurri, mai come in questo caso dopo tanti anni la partita riassume un sapore da grande evento. L’Inter può decollare affossando i nemici, la Juve può riemergere beffandoli. Solite differenze che si rafforzano. Le due grandi si specchiano e si scontrano. Sono diverse ma condividono la stessa missione. Una ha bisogno di affermarsi sull’altra, sempre. 

    Luca Borioni

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