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  • Bucciantini: Conte, meno vittimismo

    Bucciantini: Conte, meno vittimismo

    E così Conte resta. E siamo felici, perché è un gran tecnico e un ottimo e tenace lavoratore. Bene. E così speriamo che non debba più essere questo l’argomento della sua avventura da commissario tecnico: la latente minaccia di perderlo. Oggi sì, fortissimamente, domani sì però, si ma…si se… forse si dimette, anzi resta se la Coppa Italia si gioca quattro giorni prima. È un bellissimo lavoro, un bellissimo posto di lavoro: sia vissuto con maggiore serenità. E perfino con superiore riconoscenza.

    L’impressione è che il senso del dovere sia nel Ct allacciato alla paura di consumare qualcosa della sua enorme reputazione. Ma sulla difficoltà nel reperire materia prima eccelsa era stato informato e spettatore lui stesso da anni. Un’altra impressione è che il calcio italiano sia una strada stretta e in salita da fare per mano, ma dove invece ognuno cerca di conservare quello che ha, non lo mette in gioco fino in fondo. Tavecchio non riesce a rischiare il suo potere, la Lega Calcio vive di conti di piccolo cabotaggio, e gioca in ordine sparso: insieme Figc e Lega sono un prodotto invendibile, sono una somma che dà meno del totale delle singole parti, già scarso. E Conte pensa a come vincere una partita, perdendo di vista l’obiettivo necessario, per tutti (anche per lui, di sponda): ritrovare il calcio italiano, rifondarlo su forti vincoli etici e principi di equità, andando a disboscare sterpi, erbacce, rami secchi e alberi ormai marci dentro. Un lavoro immenso, dalle radici. Un lavoro della terra: bisogna essere convinti e incrollabili.

    Lo abbiamo già scritto su questo sito: la Nazionale è la vetrina del calcio italiano, è la fine del discorso, non l’inizio. Le riforme che attendo la Figc sono altre, più importanti del cambiamento di una data e anche più serie del risultato dell’Italia in una competizione. Quello arriverà dopo. Sarebbe eccezionale che Conte minacciasse le dimissioni se l’anno prossimo (o quello dopo) la Serie A non scendesse a 18 squadre. Sarebbe ideale che Conte salutasse tutti se entro pochi mesi non vi fossero regole certe per tutelare la presenza dei giocatori italiani nelle rose, e anche nelle squadre primavera. Sarebbe rivoluzionario se Conte s’informasse con lo zelo che sa esprimere sullo stato degli stadi, delle infrastrutture, dei luoghi dove si fa e si costruisce questo sport, che vede in lui un punto di riferimento. E per restare alle partite e alle date, quanto sarebbe notevole ed elegante se ci fosse una condivisa battaglia per spostare (a inizio stagione, come succede ovunque) e sul suolo nazionale (come succede ovunque) la partita di Supercoppa italiana, resa ridicolmente itinerante, anziché propagare arie di tempesta per qualche giorno di anticipo della finale di Coppa Italia. Questo è un ruolo ampio, totale del Ct. 

    Dai tempi di Sacchi in qua, da quando si è voluto aprire quella panchina al mercato, rinunciando ai selezionatori e provando ad allenare la Nazionale - scelta che non contestiamo, i tempi cambiano - il ruolo dei ct è sindacalizzato, non per tutti ma sicuramente per quelli nel pieno della loro carriera nei club, quelli in sostanza presi sull’onda un po’ demagogica dei risultati recenti, e non valutando fino in fondo l’attitudine a un lavoro per certi aspetti diverso.

    Fu Sacchi a cominciare un’ossessiva (lui è così) battaglia per gli stage: doveva insegnare, era molta la considerazione che attribuiva alla sua scienza. Prima di lui, Bearzot e Vicini avevano sempre selezionato pochi giocatori, circa 30, dai quali spremerne 20 per le grandi manifestazioni. Cercando di schierare formazioni quanto più identiche, amalgamando. Giungendo - udite udite - a far sembrare l’Italia una bella squadra di club. Infatti le migliori Nazionali sul piano del gioco sono state le loro. Gli allenatori di club hanno spesso cercato di giungere alla loro squadra per bulimia. Fino a 50-60 convocati! Per poi pretendere di avere più giorni per allenarli, metterli insieme, fare gruppo, e scontrarsi sempre con le necessità opposte dei club. È la premessa che è perversa: quel ruolo impone delle scelte. Quella è la difficoltà. Per fare gruppo con 25 giocatori il tempo c’è. Ma se le convocazioni devono accontentare club, dirigenti, procuratori, calciatori amici, sponsor… (in questo i tecnici federali avevano sicuramente più autonomia e serietà) allora il tempo non basterà mai: all’Europeo del 1996 uscimmo al primo turno dopo aver schierato formazioni completamente diverse l’una dall’altra. Recentemente, Prandelli si è incartato, cambiando tre, quattro volte idea sul modulo, sui protagonisti, su Balotelli, su Cassano.

    Quindi una premessa sbagliata origina una guerra insensata e non porta nessun risultato. Forse è il caso di ripensare alla Nazionale con antichi schemi, scremando il meglio e insistendo su qualche buona intuizione, magari giovane: la Serie A propone Gabbiadini, Zappacosta, Rugani: dentro 7-8 partite di fila, se funzionano, ecco un pezzo di Nazionale figlia del campionato. E quei posti sono assegnati. Oltretutto, le esperienze degli altri Paesi sono queste: Aragones/Del Bosque e Low non hanno fatto stage, non sono andati alle crociate per anticipare di tre giorni una partita. Hanno scelto e difeso gruppi di lavoro. Li hanno cresciuti. E Spagna e Germania finivano per somigliare a squadre di club. Nel caso spagnolo era più semplice, giacché si trattava di mutuare il lavoro fatto dal Barcellona, nel caso tedesco il primo vero serbatoio è stata l’Under 21, da noi ormai declassata nell’interesse generale. Così hanno vinto, nonostante due sistemi calcistici molto differenti e due culture altrettanto lontane. E sono Ct che restano riparati per mesi, il loro compito è preciso, le prime pagine li considerano a scadenze biennali.

    Ma c’interessa ampliare il discorso: far diventare la Nazionale la pietra angolare del calcio italiano è al tempo stesso una prova di forza (un po’ narcisistica) di Conte, e una dichiarazione di debolezza e opportunismo di Tavecchio, anche un po’ servile: la Figc, che può così distrarre l’attenzione generale dalla vera polpa. Tra l’altro per il sistema-calcio è davvero molto più importante ritrovare tempo per fare allenare le squadre di club, in mezzo a tante partite. Per renderle più competitive, più innovative, più coraggiose, più forti, per migliorare i giocatori: anche il Ct guadagnerebbe molto da un ritrovato livello internazionale dei club. Se si creeranno presupposti virtuosi per il sistema-calcio, la Nazionale sarà più forte, senza bisogno degli stage. E il ruolo di Ct sarà più facile da vivere anche per Conte, senza andargli troppo stretto e senza la tremolante certezza di aver fatto il passo sbagliato di una carriera destinata a sorti magnifiche e progressive.


    P.S. - Conte è uscito dall’incontro in Figc rassicurando, anzi, reagendo: “Resto ct, vi piaccia o no”. Certo che ci piace: il più bravo e titolato è sulla panchina più romantica. Il vittimismo, no, per favore, quello è un atteggiamento insopportabile e inestirpabile dall’uomo. Non sono stati i giornalisti a soffiare tempesta nel vento freddo di questi giorni. Anzi, c’è cortesia: nessuno le ha chiesto della richiesta di rinvio a giudizio per frode sportiva, quello sì un argomento più imbarazzante degli stage. Perfino più dirimente sull’opportunità di ricoprire certi ruoli. Ma è sacrosanto essere garantiti, prima delle sentenze (dopo, semmai, bisognerà riparlarne). E lo ripetiamo: siamo per Conte Ct, bisogna vedere se anche lui fa il tifo per se stesso, o annusa panchine più lussuose e idonee per il suo modo di vivere questo mestiere.

    P.S.2 - La dichiarazione di Tavecchio sugli scudetti della Juventus - "sul campo sono 32, era la squadra più forte" - è sembrato una concessione per lusingare l’umore di Conte, che è sempre stato dello stesso avviso (seppur non fosse sua quella gestione). Tutti sanno del valore immenso di quella squadra: Buffon, Cannavaro, Viera, Emerson, Nedved, Camoranesi, Ibrahimovic, Trezeguet, Del Piero. Capello. I tifosi più mortificati e dispiaciuti sono proprio gli juventini, che hanno visto cancellata questa squadra dal comportamento illegale dei suoi dirigenti, condannati (anche per patteggiamento, che è ammissione piena di colpa) per reati gravissimi in sede penale, non solo sportiva. Curioso che molti tifosi vogliano superare quel momento, e molti dirigenti insistono nel rimescolare quel brodo avvelenato, rivendicando una lunga stagione di calcio italiano inquinata da sistemi delinquenziali, e sentenziata da processi. Il campo era truccato. Forse inutilmente, quei campioni avrebbero vinto lo stesso, ma non sono le suggestioni che fanno la storia: sono i fatti. E ogni verità ricostruita è preziosa per qualsiasi Paese, spaccato, organizzazione. Umiliare la verità per bassi scopi, gettare sale sulle più putride ferite del sistema complessivo che si governa e rappresenta, è deprimente, scoraggiante: i compiti attesi sono tanti, gravosi, profondi. Cominciamo da quelli, aiuteranno anche il Ct, se vorrà essere importante per il calcio italiano e non solo per se stesso.


    Marco Bucciantini

     

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