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  • Caso Pantani, gli ultras del Cesena lo difendevano: 'Non dategli la droga'

    Caso Pantani, gli ultras del Cesena lo difendevano: 'Non dategli la droga'

    • Redazione CM
    La morte di Marco Pantani rimane, tutt’oggi, avvolto nel mistero. A distanza di più di 18 anni, da quel maledetto 14 febbraio 2004, le indagini non hanno ancora fatto emergere la verità. Le circostanze rimangono controverse e la parola fine, su questo caso, sembra lontana dall’essere scritta. La volontà della Procura di Rimini - a cui capo c’è Elisabetta Melotti – è quella di battere, nel più assoluto riserbo e segretezza, tutte le piste investigative rimaste valide dopo un arco di tempo così lungo. La verità deve emergere. Per Marco, per il mondo del ciclismo, per i suoi tifosi. Per la famiglia. Soprattutto. Ed ora spuntano nuove piste da solcare.

    LA COALIZIONE DEGLI ULTRAS DEL CESENA - Per arrivare al bilocale di Marco Pantani, all’interno del Residence Le Rose di Rimini, non c’era un unico ingresso. Le nuove conferme arrivano dalle conclusioni della Commissione parlamentare antimafia – coordinato da Giovanni Endrizzi ed il cui presidente era Nicola Morra -. Quanto emerso, deriva dalle parole di Maurizio O., nipote della madre di Pantani – Tonina Belletti – che, all’epoca dei fatti, faceva parte degli ultras del Cesena che, a gran voce, difendevano Marco dal circolo della droga: "Anche nel mondo degli ultras ci eravamo coalizzati chiedendo agli spacciatori che frequentavano il nostro mondo di non dargli la droga. Quel mondo aveva risposto molto bene. Non solo molti della zona non gli davano la droga, ma gli volevano molto bene, lo proteggevano. Ma avendo molta disponibilità di soldi, Marco ci scavalcava rivolgendosi a soggetti estranei e per questo ha incontrato Miradossa e altri”.

    LA NUOVA FONTE: MAURIZIO - E non è tutto. "Questo è il bagno ma non era così quando l’ho visto io". Tanti sono i dettagli che non corrispondono. Lo specchio rotto si trovava appoggiato alla parete posta a destra dell’ingresso del bagno, in una posizione diversa da quella rappresentata nelle foto. Ma perché farsi vivo solo adesso? Perché dopo 18 anni? Maurizio O. non si era presentato all’epoca per raccontare agli inquirenti quanto a sua conoscenza poiché di minacce riportategli da Giuseppe T., un amico poliziotto: "Smettete di indagare perché avete rotto le palle. Fate la fine di Marco. Dì a tua zia che fate tutti la fine di Marco". Le dichiarazioni di Maurizio O. portano gli investigatori a sondare nuove piste. Quella stanza disordinata, quel secondo accesso alle camere di Pantani, quella foto – mostratagli durante l’audizione – che, sempre secondo la sua testimonianza non corrisponde alla scena da lui vista. Nessun presidio, nessuna delimitazione, nessun controllo. Lo afferma con sicurezza Maurizio O. Gli scenari si allargano, le indagini anche. La verità sul caso di Marco Pantani è ancora lontana dal venire a galla. Ma una nuova traccia, ora, si può seguire.

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