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  • Cragnotti:| 'Calcio in mano al Nord'

    Cragnotti:| 'Calcio in mano al Nord'

    Intervista all’ex padron della Lazio che torna a parlare di sé, dei suoi guai giudiziari, di Roma e di futuro.
    Cragnotti: "Volevo cambiare il calcio italiano".
    Chiedere oggi ad un tifoso della Lazio di raccontarvi chi è stato Sergio Cragnotti, significa regalargli un dolce ed emozionante tuffo nel passato. Significa innescare un processo della memoria che soltanto Proust potrebbe spiegarvi a dovere. Partire da un semplice dato, un nome, per generare un vortice di immagini, di suoni, di sensazioni, piacevoli al ricordo. Il tifoso della Lazio vi racconterà “dell’era Cragnotti”, l’era di un uomo che divenuto presidente della Lazio nel 1992, ne ha cambiato la storia. Lo ha fatto impegnandosi in trasferimenti miliardari: Juan Sebastian Veron, Christian Vieri, Hernan Crespo, Mendieta. Poi portando la Lazio ai vertici del calcio italiano ed europeo vincendo 1 scudetto 2 coppe Italia, 2 Supecoppe, 1 coppa delle coppe e una supercoppa europea. Nel 2002 termina l’età dell’oro:  il gruppo Cirio, guidato proprio da Sergio Cragnotti, fallisce rivelando un deficit di oltre un miliardo di euro. Cragnotti lascia tutte le sue aziende, tra cui la Lazio. Ma ancora oggi allo Stadio Olimpico si può sentire il coro “Sergio Cragnotti unico presidente”. Aspettando il 4 luglio, data in cui saprà la sentenza sul fallimento del gruppo Cirio,  Cragnotti si racconta a Paese Sera, e ci racconta il suo modo di vedere il calcio italiano.

    Cittadino romano di nascita. Presidente di una delle due squadre più prestigiose della capitale. Ma esiste un luogo di Roma che le è più caro?

    “Senza dubbio la zona dove sono nato, cioè Porta Metronia, Caracalla, Piazza Tuscolo. Sono sicuramente i luoghi che più mi sono rimasti nel cuore, quei posti dove ho trascorso l’infanzia e a cui rimani legato per sempre. Adesso abito al centro, quindi per forza di cose il centro storico è divenuto parte della mia vita.”

    Lei è  stato un innovatore nel calcio italiano, il primo a portare un club ad essere quotato in borsa. Oggi i nostri club hanno i conti in rosso e gli stadi sono vuoti. Cosa ci manca per riprendere gli standard europei?
    “Al calcio italiano manca un progetto industriale, su  cui articolare il suo futuro. Fin quando non ci sarà tale progetto, ci si baserà soltanto sui diritti televisivi, e sulle possibilità economiche dei singoli presidenti.  Abbiamo visto la finale di Champions con League con uno stadio di circa 90 mila spettatori completamente pieno. Oggi è anacronistico parlare di carenza di pubblico in Italia quando si hanno stadi fatiscenti, mentre accendendo la tv vedi stadi funzionali e moderni. La Germani aveva i problemi che abbiamo noi ora dieci anni fa, e guardate come li hanno superati di slancio. Al campionato italiano manca tutto. Noi dieci anni fa avevamo lavorato ad un progetto di rinnovamento del calcio italiano, ma l’inerzia del palazzo non ha permesso di portarlo a termine”.

    In questo senso, l’arrivo della cordata americana alla guida della Roma, può portare idee nuove?

    “Gli americani si faranno sentire, alzeranno la voce nei confronti della gestione del calcio italiano. Sono persone abituate ad utilizzare lo sport dal punto di vista del business, non guardano solo alla componente sociale, ai valori, all’attaccamento ai colori. Sarà una spinta forte, un cambiamento radicale nella gestione del nostro calcio. Non vengono qui in Europa, in Italia, a fare i mecenati. Non mettono soldi senza prevedere un ritorno del capitale investito.”

    Con l’arrivo di DiBenedetto, si è chiusa l’era Sensi. Che ricordo ha di questa famiglia?

    “Con Franco c’è stato un grande rapporto. In quegli anni si volevano creare due grandi strutture calcistiche a Roma, far valere il calcio romano nei confronti del calcio del nord. C’è stata un’unione di intenti nella battaglia contro un’egemonia che non ci permetteva di emergere. In parte ci siamo riusciti. Sono stati anni favolosi per la Lazio e per la Roma, abbiamo portato nella capitale due scudetti, noi anche delle coppe europee. A quel punto serviva il grande passo in avanti, che però non c’è stato. Ed oggi ho l’impressione che le grandi società del nord abbiano ripreso in mano il calcio italiano”.

    Da spettatore, da tifoso, che campionato è stato quello della Lazio?

    “La Lazio ha fatto una buona stagione, è mancata però la soddisfazione di qualificarsi per la Champions League. Probabilmente è venuta meno un po’ di  convinzione e di personalità nel finale. Per poter tornare tra le grandi d’Europa servono mezzi importanti, calciatori di personalità e di carattere, che nei momenti decisivi sappiano prendere le decisioni giuste e trascinare la squadra. Penso che comunque i tifosi possano essere soddisfatti.”

    In realtà però quest’anno i tifosi non sempre sono sembrati soddisfatti. In diverse occasioni hanno fischiato Lotito e Reja.

    “Il fatto è che i tifosi vogliono vincere, vogliono rivedere la Lazio tra le grandi d’Europa.  E’ questo che poi crea delusione. Lotito finora sta facendo bene, e spero che dia a questi tifosi che sono grandi, immensi, una grande Lazio”

    Forse lei li ha abituati troppo bene…
    “Può darsi! (ride, ndr).  Sono stati anni bellissimi, dove la Lazio ha assunto posizioni di predominio nel calcio europeo. E’ stata prima nel ranking Fifa! E’ difficile poi dimenticare certe gioie…”

    Molto spesso quest’anno i tifosi  allo stadio hanno invocato il suo nome. C’è una reale possibilità di rivederla alla guida della Lazio?

    “Per adesso non ci sono possibilità di rivedermi nel calcio italiano. Ho grossi problemi da risolvere (il 4 Luglio ci sarà la sentenza sul crac Cirio, ndr) e si commette un errore quando si avvicina il mio nome alla Lazio o a qualsiasi altra società di calcio.”

    Se le dico “Paese Sera”, cosa le viene in mente?
    “Ricordo benissimo Paese Sera, ricordo le sue bellissime e intense pagine degli anni ’60. Leggendolo c’era la sensazione di avere notizie sempre fresche, di essere sempre aggiornati ed informati. E poi, era il giornale di mio padre! Per cui non posso non augurarvi buona fortuna per la nuova avventura e un “buon lavoro”.


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