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  • Dal pugno di Smith ai casi Bulgaria e Turchia: da mezzo secolo lo sport è vittima di razzismo e politica

    Dal pugno di Smith ai casi Bulgaria e Turchia: da mezzo secolo lo sport è vittima di razzismo e politica

    • Luca Fazzini
    Era il 16 ottobre 1968. Stadio Olimpico di Città del Messico. Dopo la finale dei 200 metri maschili, Tommie Smith (oro) e John Carlos (bronzo) passarono alla storia per la foto scattata al momento della premiazione. Pugno chiuso, braccio alzato e piedi scalzi: un gesto a favore dei diritti civili, in particolar modo verso i cittadini afroamericani. Un gesto diventato simbolo, specie se mostrato dopo soli sei mesi dalla morte di Martin Luther King, quando il dibattito era ancora inevitabilmente acceso. I due ricevettero critiche, il CIO chiese la loro esclusione dal villaggio olimpico. Il motivo? L'essersi espressi politicamente in una manifestazione sportiva. 

    POLITICA E RAZZISMO - Esattamente cinquant'anni dopo, la situazione non sembra essere cambiata così tanto. Sia chiaro, gli scenari sono totalmente diversi: da una parte, lotta di sopravvivenza e diritti civili, dall'altra guerra e morti. Due sono però sono gli elementi in comune: il razzismo, tremendo virus che giorno dopo giorno si fa largo tra la società, e una politica che, sempre più prepotentemente, si inserisce fastidiosa tra le vicende dello sport, storicamente patria dell'accoglienza e dell'uguaglianza. "Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti" diceva Arrigo Sacchi. Senza senso e fuori luogo, allora, mischiarlo con questioni belliche e narrazioni di guerra. L'attacco turco contro i curdi è tornato in maniera forte sotto i riflettori della cronaca dopo la presa di posizione dei calciatori. Gesti militari, post sui social e frasi di supporto all'azione di Erdogan: immediata l'indignazione dell'Occidente calcistico e non solo. Non spetta a noi, specie in questa sede, decretare ciò che sia giusto e ciò che sia sbagliato. Così come non spetta a noi misurare il grado di costrizione imposto ai giocatori turchi. Ma alcune considerazioni sono oggettive. 

    INDAGINI E ARRESTI - Eh già, perché basta vedere quanto successo a Enes Kanter per capire quanto delicata sia la situazione. Il cestista, centro dei Boston Celtics, è triste protagonista di un mandato di cattura internazionale dopo essersi esposto chiaramente contro l'attacco di Erdogan. La Uefa, ora, ha avviato un'indagine e sotto la lente d'ingrandimento c'è anche la finale di Champions in programma ad Istanbul il prossimo maggio. Dalla Turchia alla Bulgaria: Istanbul e Sofia distano oltre 550 chilometri, ma il filo che le ha unite, negli ultimi giorni, non le ha mai rese così vicine. Lunedì sera, nel 6-0 subito in casa contro l'Inghilterra, alcuni tifosi bulgari si sono resi protagonisti di cori razzisti verso alcuni giocatori dei Tre Leoni, rincarando la dose con saluti romani che hanno costretto l'arbitro a sospendere due volte la gara. 

    PARLA CEFERIN - E' notizia di oggi che la polizia ha arrestato sei supporters, mentre altri nove sono stati identificati. "C'era un tempo, non molto fa, in cui la famiglia del calcio pensava che il flagello del razzismo fosse solo un lontano ricordo. Gli ultimi anni ci hanno insegnato che pensare così era, nel migliore dei casi, compiacente". Parole e musica, firmate Aleksander Ceferin, presidente dell'Uefa. Per uno sport che, ancora una volta - cinquant'anni dopo - si è rivelato errato teatro di propaganda politica

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