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  • Dall'idolo Rivera a Gullit, da Savicevic al 'dimenticato' Calhanoglu: il peso della '10' del Milan sulle spalle di Brahim Diaz

    Dall'idolo Rivera a Gullit, da Savicevic al 'dimenticato' Calhanoglu: il peso della '10' del Milan sulle spalle di Brahim Diaz

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Il numero 10 non è un numero come un altro, non lo è stato a partire dalla sua identificazione con Pelé (è il Mondiale del 1958 che consacra come icona planetaria O Rei) quando le maglie andavano dall'1 all'11, e non lo è oggi, con la numerazione “tana liberi tutti” dall’1 al 99. Il 10 del Milan è un numero pesante, l’ha capito bene Brahim Diaz che indosserà la 10 quest’anno. Nella nostra storia a ritroso sulle tracce della 10 rossonera ci siamo imbattuti in tanti campioni, una buona pattuglia di onesti mestieranti e qualche clamoroso equivoco.

    Il numero 10 del Milan per quasi vent'anni è Gianni Rivera, la bandiera dal 1960 al 1979, il modello per un paio di generazioni, sicuramente uno dei 3-4 migliori calciatori italiani di sempre, il Golden Boy, primo Pallone d'Oro italiano nel 1969. Rivera è stato il numero 10 per eccellenza, capace di riassumere nel suo gioco l'estro del trequartista e le geometrie del regista. Prima di Rivera il 10 l’aveva vestito anche un altro fuoriclasse: Juan Alberto “Pepe” Schiaffino (1954-1960), ma in un'epoca in cui quella maglia non era così speciale, tanto che per lo stesso Schiaffino non era una priorità.

    Quasi trent’anni dopo Rivera, ecco Ruud Gullit che il giorno della presentazione ufficiale, nella sala trofei del Milan, chiese ingenuamente chi fosse il tipo che nella foto alzava il Pallone d’Oro. Beh, tra l'imbarazzo generale, gli fu spiegato che “il tipo” era Rivera, Gianni Rivera, e che a lui sarebbe toccata la sua maglia. Gullit la onorò alla grande, contribuendo a portare di peso il Milan di Sacchi dalla cronaca alla leggenda. Il 10 è sinonimo di fantasia, personalità classe. Vedi alla voce Dejan Savicevic, il Genio, un distillato di classe purissima come l'acqua di un torrente di montagna. Colpo forte del suo repertorio: il dribbling. Idolo dei ragazzi che all'epoca - metà anni 90 - tifavano Milan. Nelle giornate di grazia era irresistibile. Il suo pallonetto al portiere del Barcellona Zubizarreta - nella finale di Champions del 1994 - rimane uno dei gol più belli di quel decennio. Quando al Milan arrivò Roberto Baggio - se si pensa a un 10 si pensa a lui - il tenutario della maglia era proprio Il Genio, così Roby rimediò sul 18.

    Che dire di Rui Costa? La leggerezza della falcata, l’assist sempre in canna, la facilità nell’inventare praterie per il centravanti di turno (per informazioni chiedere a Pippo Inzaghi). Il portoghese - trequartista classico - arrivò al Milan nel 2001, dopo sette favolosi anni alla Fiorentina. Lampi di classe (decisivo il suo apporto nella conquista della Champions), alternati a giornate meno luminose, ma il ricordo di certe sue giocate rimane nitidissimo. Restò al Milan fino al 2006: 124 presenze, 11 reti ma addirittura ben 65 assist. Clarence Seedorf - tecnica, fisicità, conoscenze altissime di calcio - è stato un 10 atipico: né fantasista e neppure regista. Sapeva fare tutto, trasudava personalità. Mica per niente lo chiamavano «Professore»: prese la 10 nel 2006, dopo l'addio di Rui Costa. E fece la Storia. Un 10 classico è stato Zvone Boban, uomo-chiave dello scudetto di Zaccheroni (1999): il croato ha interpretato il ruolo con la consueta intelligenza (era nato come interno) e la sua classe - con il passaggio dal 3-4-3 di Zaccheroni al 3-4-1-2 imposto da Berlusconi - fu la benzina per lo scatto finale verso il titolo.

    Un potenziale «crack» oggi però dimenticato è stato Pier Paolo Scarrone, due stagioni dal Milan all'inizio degli anni 70.- Era la riserva di Rivera, giocò pochissimo, caricato di troppe responsabilità. Dopo l'addio di Rivera (1979) la maglia passò da Francesco Romano ad Gabriello Carotti, ma nessuno aveva la stoffa per meritarla davvero. Negli anni 80 la 10 fu vestita da vari calciatori, ma nessun fuoriclasse: Vinicio Verza era il più talentuoso, Roberto “Dustin” Antonelli - che spesso preferiva il 9 - era un centravate di manovra con due piedi assai educati, Chicco Evani - prima dell'avvento di Sacchi - giocava terzino, e all'occorrenza veniva spostato a centrocampo. Nel 1985-86, penultima stagione prima del ritiro, la 10 finì sulle spalle di Paolo Rossi.

    Negli ultimi tempi due 10 “minori” hanno vestito la sacra maglia. Trattasi del giapponese Honda (che tolse la 10 a Bonaventura) e del ghanese Boateng, il Boa, che a parte qualche serata particolarmente brillante non riuscì a lasciare il segno. Di certo: nessuno di questi ha lasciato ricordi indelebili. L’anno scorso il 10 ce l’aveva Calhanoglu. Ma il turco - passato questa estate all’Inter - è già stato dimenticato. Ora tocca a Brahim Diaz, folletto dotato di piede dolce e buoni colpi: vedremo se saprà essere all’altezza di questa maglia e dei suoi illustri predecessori.

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