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  • Del Piero: Torna a casa Scudetto!

    Del Piero: Torna a casa Scudetto!

    "E' il quarto stadio della mia vita juventina, un record imbattibile".
    Del Piero: Torna a casa scudetto!
    "Qui i tifosi potranno essere il nostro uomo in più. Conte è un martello con le idee chiare. Alla Juve servono umiltà, orgoglio, spirito di sacrificio, responsabilità. Non ho ancora deciso se questo sarà il mio ultimo anno alla Juve o in assoluto".
    (Gazzetta dello Sport)

    Del Piero: "Ecco la nuova casa Juve".
    "Nostro e di nessun altro. Vedrete, assorbirà l'energia vincente del Delle Alpi".

    Alessandro Del Piero, a Torino ha cambiato più case o stadi?

    «Quattro traslochi, parimerito».

    È sicuro? Delle Alpi, Olimpico e da giovedì l'ultimo nato. Quando lei è arrivato alla Juve, il Comunale era già in disuso.
    «Non per la Primavera. Con la Juve ci ho vinto un campionato nazionale, battemmo il Toro in finale. Qualche migliaio di tifosi, vi raccomando cosa provai all'uscita del tunnel».

    La malia di cinquant'anni di storia del calcio.
    «Quando sei ragazzo non ci pensi, è dopo che cominci a fare i collegamenti».

    Era poco più che un ragazzo quando si cominciò a pensare a uno stadio di proprietà per la Juve. Metà degli anni Novanta.
    «Un cammino lunghissimo, ma ci siamo arrivati. Uno stadio nostro, la novità è tutta lì, in quel nostro. Qualcosa che abbiamo il diritto-dovere di rendere speciale. Come diceva Magic Johnson si gioca per vincere, divertirsi e far divertire. Se riusciremo a fare le tre cose, avremo dato un senso a tanta attesa».

    Al Delle Alpi vi riusciva.
    «Allora speriamo che il nuovo impianto assorba l'energia vincente del vecchio».

    Nient'altro?
    «Non vorrei essere ingeneroso, quasi tutto quello che ho vinto, l'ho vinto al Delle Alpi. Ma quella pista di atletica, otto corsie... Dava un'idea di dispersione, quanta freddezza. Avevamo 40 mila spettatori di media, se li facessimo adesso sarebbe meraviglioso, eppure sembrava poca gente. Penso che con i Mondiali del ‘90 si sia persa un'occasione. Ho vissuto la ristrutturazione del Comunale, il nuovo Olimpico, con grande gioia».

    Nonostante Calciopoli.
    «Guardi che la cavalcata in serie B è stata entusiasmante».

    Il suo primo stadio?
    «L'impianto dell'Ac San Vendemiano. Sulla tribunetta 50-60 persone, quasi tutti genitori. Sembravano tantissimi. Esiste un'età in cui anche un cortile o un garage assomiglia a uno stadio».

    Da tifoso juventino non si è mai spinto fino al Comunale?
    «Mai. Non ne avevamo la possibilità economica e poi sette ore di viaggio, da Padova a Torino, erano troppe per i miei genitori. Loro lavoravano sempre. La domenica tenevamo la radio accesa, mio padre sbrigava certe faccende a casa, io giocavo a pallone. Appena chiamavano il collegamento da Torino, il classico “attenzione Ameri”, mi bloccavo. La prima volta che ho seguito la Juve dal vivo è stato a Udine, su invito di Boniperti. Avevo 17 anni».

    Udine, il teatro degli incubi. Lì si sarebbe infortunato al ginocchio.
    «Ma anche lo stadio in cui segnai una doppietta in Nazionale dopo il disastroso Mondiale del ‘98. E poi come dimenticare il 5 maggio? Per noi uno scudetto di spaventosa bellezza. Insomma, croce e delizia».

    Altrove soprattutto adrenalina.
    «Manchester e Madrid, il pubblico in piedi ad applaudirmi, sensazioni forti. Il Camp Nou e il Barcellona condividono la stessa vitalità. E poi Anfield, a Liverpool: nel tunnel vieni sopraffatto dal canto dei tifosi, “You'll never walk alone”. Ci andai a giocare con Capello, impossibile restare indifferenti. Ma l'atmosfera che si respira a Glasgow, l'ho avvertita poche altre volte».

    Nemmeno a Dortmund?
    «Irriconoscibile dopo la ristrutturazione. La curva dei tedeschi non finiva più, sono sempre stati tifosi molto caldi, figurarsi in una semifinale dei Mondiali contro l'Italia».

    La Juve svolta, allineandosi ai grandi club europei. Il calcio italiano resta indietro.
    «E pensare che sono passati appena cinque anni dal successo ai Mondiali. Qualche fuoriclasse lo perdevamo anche allora, penso a Zidane e Ronaldo, ma erano eccezioni e il calcio italiano restava comunque un centro nevralgico. Mi auguro che la Juve possa indicare una strada».

    Qual è il momento in cui si viene catturati da uno stadio?
    «Quando arrivi. Incroci il flusso dei tifosi, li senti. L'interruttore è già acceso, ma in quel momento ne scatta uno più intenso, che ti fa pensare: ora si comincia».

    Capitano nella nuova casa. È solo per questo che ha rinnovato il contratto con la Juve?
    «Uno dei motivi, non l'unico. Intanto ho deciso di contraccambiare parenti e amici che ultimamente hanno festeggiato i miei record con magliette celebrative. Stavolta le ho fatte preparare io, con le foto dei miei quattro stadi».

    Non la disturberà il pensiero che l'anno zero potrebbe essere anche il suo ultimo a Torino?
    «Non ho ancora deciso se sarà il mio ultimo anno qui, o in assoluto. E comunque non è un pensiero ricorrente. Affronto quotidianamente la vita al 200 per cento, in maniera totale, animale. Tra vent'anni sarò felicissimo di ricordare qualsiasi momento della mia avventura juventina ma dopo di me ci sarà qualcun altro, come c'è stato prima di me. Per questo sono contrario al fatto che venga ritirata la maglia numero 10. Come io sono cresciuto con l'ambizione di indossarla, questa speranza la meritano altri ragazzi».

    Visto come viene trattato Totti dalla nuova dirigenza della Roma?
    «Io e lui non siamo normali, tra virgolette. Se hai un guasto idraulico, chiami il tecnico. Se a Roma succede qualcosa, al centro di questo qualcosa c'è Francesco. Leggo che viene visto come un problema, mi auguro piuttosto che sia la soluzione».

    Conte e il suo 4-2-4 lo saranno per la Juve?
    «Antonio ha idee molto chiare, è un martello. L'impostazione tattica è la base di una squadra ma la differenza la fa l'interpretazione. Se fai tutto giusto non è detto che vinci, se fai tutto sbagliato è sicuro che non vinci».

    Bella massima, ma basterà ad alzare l'asticella?
    «Purché da noi stessi pretendiamo il massimo, non solo in partita, ma ogni giorno. E se il massimo non basta, più del massimo».


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