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  • Diario di una quarantena: l'inviato, così si segue la Juve al tempo del Coronavirus

    Diario di una quarantena: l'inviato, così si segue la Juve al tempo del Coronavirus

    • Nicola Balice
    A guardare bene, la vita di un inviato-free lance come me abituato da anni a lavorare fuori da una redazione, non dovrebbe essere cambiata più di tanto. Eppure è tutto completamente diverso.

    Perché cambia il contesto, sono cambiati i rapporti, le abitudini. È cambiato, nella sostanza ancor più che nella forma, tutto ciò che è lavoro. Vero, una connessione a internet è sufficiente per fare in modo che si possa continuare a mantenere la rete di contatti anche a distanza, come accade anche in periodi normali. Così come l'ufficio domestico resta quello in cui organizzare il lavoro e gestire la consegna di articoli: sveglia, colazione, rassegna stampa, prima impostazione del lavoro del giorno con la redazione e poi si ricomincia, al telefono e alla tastiera. Però non ci sono eventi da seguire, che siano partite o conferenze stampa. E non è entrata nel vivo la baraonda del calciomercato, che solitamente riempie ancor più del resto dell'anno la giornata quando i campionati sono fermi. Tutto procede, teoricamente come sempre. Teoricamente, appunto. Perché poi il contatto diretto, la strada, gli appostamenti, quando vengono meno stravolgono tutto, non fanno solo parte di un giornalismo d'altri tempi. La notizia si può inseguire restando fuori da una sede per ore, la percezione dei tifosi non è solo quella che si respira sui social ma anche o soprattutto quella che c'è (o non c'è) fuori dalla struttura di allenamento. E poi l'incontro davanti a un caffé con una fonte, permette di capire molto di più che non soltanto via sms o al telefono. Così come il confronto continuo con quei colleghi che fanno la stessa vita e che rappresentano una parte fondamentale nella rete di contatti, pochi ma fidati e con cui lavorare gomito a gomito anche se di realtà differenti.

    Tutto è completamente diverso, perché nonostante il nostro sia un lavoro che di fatto ti porta a restare all'erta 24 ore, non tutto è lavoro (per fortuna). Ed è completamente stravolto tutto ciò che non è lavoro, insomma: in fondo la giornata lavorativa procede come spesso accadeva, con la cadenza ritmata delle consegne che procede nonostante spesso si abbia la sensazione di non finire mai. È tutto completamente diverso. Perché fuori è tutto diverso. Anche per chi vive da solo con un cane come me. E meno male che Nana (il nome del mio bulldogue francese) c'è: le privazioni sono le stesse di tutti gli altri italiani, strade vuote e locali chiusi, amici e parenti a distanza da poter guardare negli occhi grazie alla videochiamate, l'amore incondizionato di una coinquilina del genere rappresenta un sostegno fondamentale (di certo non in quanto certificazione a quattro zampe per fare due passi).

    Tutto è diverso. Difficile, ma forse molto più facile di quanto si possa credere provando a capire che nel 2020 sia effettivamente possibile sentirsi “distanti ma uniti”, professionalmente comunque stimolante. Con quel senso di smarrimento che torna alla mente nell'ipotizzare un'emergenza simile anche solo vent'anni fa. E quel senso di responsabilità di continuare a fare il proprio lavoro, sempre di più e sempre meglio, anche in questi giorni, a distanza, pur occupandosi di calcio e di sport. Perché continuare a lavorare è un privilegio, un diritto. In questi giorni, specialmente per chi si occupa di informazione, a maggior ragione un dovere. Studiando, approfondendo, verificando, come e più di sempre, andando anche oltre la nostra zona di confort del solo contesto “calcio e sport”, per quanto in queste settimane anche all'interno del mondo Juve sia di fatto successo di tutto in questa era Coronavirus. Pure senza quella “strada” che per un inviato-free lance rappresenta la propria vera redazione.

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