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  • Dimenticato da molti, stimato da tanti: il cammino di Castagner è il 'miracolo' della persona sul personaggio

    Dimenticato da molti, stimato da tanti: il cammino di Castagner è il 'miracolo' della persona sul personaggio

    • Alberto Cerruti
    Un gran signore, prima ancora che un ottimo allenatore, dai modi educati, gentile con tutti, ma sempre con la schiena dritta. Ilario Castagner ci lascia a 82 anni nella sua Perugia, dove si è fatto conoscere dal grande calcio e dove ha creato la sua bella famiglia.

    Nato a Vittorio Veneto il 18 dicembre 1940, in Umbria si era fermato la prima volta come calciatore tra il 1961 e il 1964, poi ci è tornato una seconda dieci anni esatti più tardi come allenatore, dopo un’iniziale esperienza sulla panchina delle giovanili dell’Atalanta. Scelto dal presidente Franco D’Attoma e dal direttore sportivo Silvano Ramaccioni, Castagner è stato il principale artefice del “Perugia dei miracoli”, la prima squadra capace di finire il campionato senza sconfitte nel 1979. Era la squadra di capitan Frosio e Della Martira, di Bagni e Casarsa, di Vannini e Speggiorin, capaci di fermare tutte le grandi, arrivata seconda dietro il Milan di Liedholm. Quello storico piazzamento è stato il trampolino di lancio per Castagner, passato poi alla Lazio, ma soprattutto al Milan. Ramaccioni, che aveva apprezzato le sue doti di tecnico e di uomo, convinse il nuovo presidente rossonero Giussy Farina ad affidarsi a lui per rilanciare il Milan, precipitato per la seconda volta in serie B nel 1982.

    E con Castagner il Milan risalì subito, grazie ai gol dello “squalo” Joe Jordan e Aldo Serena, ma soprattutto grazie a un gioco applaudito da tutti, con Franco Baresi per la prima volta capitano ad appena 22 anni. Un Milan spettacolare che segnò 77 gol con una media di più di due a partita, battuto soltanto tre volte, con la macchia della a sconfitta in casa 1-2 contro la Cavese. Tornato in A, con i nuovi stranieri Gerets e Blissett il Milan faticò a imporsi ma nonostante gli alterni risultati riuscì ad attirare una media di 53.136 spettatori a San Siro, proprio perché la squadra cercava sempre il bel gioco pur non avendo gradi campioni in attacco. Era un Milan giovane in cui attorno a Baresi crescevano Mauro Tassotti, Chicco Evani e Sergio Battistini, con l’esperienza di Oscar Damiani, più goleador di Blissett. Il presidente Farina, però, si aspettava di più e così verso la fine della stagione Castagner capì di non godere più della sua stima e del vicepresidente Rivera. Le voci di un suo passaggio all’Inter si rincorrevano e proprio Rivera giustificò il suo clamoroso esonero a sei giornate dalla fine dicendo testualmente: “non possiamo tenere in panchina l’allenatore dell’Inter”. Uno sgarbo inutile perché la professionalità di Castagner non doveva essere messa in discussione. E non a caso lui lasciò con il suo stile, senza polemizzare, chiudendosi nel suo residence di Porta Nuova, davanti all’ospedale Fatebenefratelli.

    Passato in effetti all’Inter sfiorò lo scudetto, vinto dal Verona, arrivando al terzo posto. Ma in quegli anni in cui non bastava il quarto per salvare la stagione, il terzo era un mezzo fallimento e così all’inizio della stagione successiva venne esonerato dopo dieci partite. La sua carriera ad alto livello finì a Milano, perché poi passò sulle panchine dell’Ascoli, del Pescara, del Pisa per chiudere a Perugia, prima con la carriera e poi con la vita. Sempre discreto, signore nelle vittorie e nelle sconfitte, mai personaggio ma persona per bene. Dimenticato da molti eppure stimato dai tanti, come noi, che lo hanno conosciuto.

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