Domenico Penzo, di centravanti così non ne esistono più: e un anno solo Platini segnò più di lui
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Quando si parla di “gavetta”, ovvero il partire da zero per arrivare ai vertici, questo attaccante nato a Chioggia nell’ottobre del 1953, è uno degli esempi più calzanti in assoluto.
Intanto parliamo di un ragazzo che a tredici anni inizia a lavorare in una falegnameria per poi fare il meccanico nell’officina del cognato. Nel frattempo gioca a calcio.
E ci gioca piuttosto bene.
Non attrae le attenzioni di osservatori e dirigenti per la sua eleganza, la sua tecnica o la sua visione di gioco.
Ma combatte su ogni pallone e di testa e di piede arriva spesso prima dei difensori avversari ... e quando non arriva prima li sposta con il suo coraggio e la sua fisicità.
I suoi gol nel Borgosesia, in Serie D, non hanno però un grande impatto sulle tante squadre della zona.
L’unica interessata davvero al suo cartellino è un’altra squadra di serie D, la Romulea che non è esattamente dietro l’angolo ... ma nella capitale! E’ un problema per Domenico?
Assolutamente no. Se non hai il coraggio di metterti in gioco a vent’anni quando l’avrai?
Alla Romulea la sua determinazione e la sua bravura portano i riconoscimenti meritati. “Nico” fa un buon numero di gol e la squadra in quella stagione 1973-74 sfiora la promozione in Serie C.
Arriva un secondo posto che lascia l’amaro in bocca a Penzo, ai compagni e alla Società.
Lui ha “timbrato” per tredici volte ma non è bastato.
Ma per il giovane attaccante veneto non c’è neppure il tempo per piangersi addosso. La Roma lo ha tenuto d’occhio per tutta la stagione.
E quando Nils Liedholm fa capire al Presidente Anzalone che per trovare la spalla a Pierino Prati non occorre andare troppo lontano per “Nico” è semplicemente il classico sogno che si avvera: la Serie A, a 21 anni e dopo due anni di serie D.
Per la Roma sarà una stagione esaltante, chiusa con un terzo posto che, senza una disastrosa partenza, avrebbe potuto essere molto ma molto di più.
Penzo gioca spesso a fianco di Pierino Prati, il “bomber” giallorosso che, con gli anni che passano e gli acciacchi sempre più frequenti, staziona ormai stabilmente nei pressi dell’area di rigore avversaria dove il suo tiro e il suo colpo di testa sono ancora micidiali. Al fianco ha bisogno di qualcuno che corra, lotti, apra spazi e faccia “a sportellate” per lui.
E’ esattamente quello che “Nico” farà per tutta la stagione.
Il fatto che lo stesso Prati ammetta che il suo contributo è stato fondamentale per i suoi gol e la grande stagione dei giallorossi non basta a convincere la società a tenere Penzo in rosa. Le statistiche parlano di un solo gol in diciannove partite. «Va bene fare da “spalla”, ma ogni tanto bisogna buttarla dentro!» è quello che pensano i dirigenti romanisti. Penzo viene mandato in prestito.
La scelta cada su Piacenza. Gli emiliani sono appena saliti in serie B e potrebbe essere il trampolino di lancio perfetto e definitivo. Giovan Battista Fabbri, che qualche anno dopo sarà l’allenatore del grande L.R. Vicenza di Rossi, Cerilli & co., non è esattamente un ammiratore delle caratteristiche di Penzo. A novembre di quel 1975 Domenico deve fare di nuovo le valigie.
Si va a Benevento, in Serie C.
E qui Domenico Penzo ritrova sé stesso e quella confidenza con il gol che sembrava smarrita.
Gioca 27 partite e spedisce il pallone in fondo al sacco 12 volte. Anche stavolta la promozione è solo sfiorata ma per lui arriva un’offerta importante. E’ un’altra squadra di C, ma con un passato importante e soprattutto obiettivi ambiziosi: il Bari.
La prima stagione di “Nico” è semplicemente strepitosa.
Diciotto gol suoi e la promozione in Serie B!
Nella stagione successiva i gol calano sensibilmente e Penzo deve fare di nuovo le valigie. Si torna al Nord, a Monza e in Serie B.
Insieme a Massimo Silva forma una coppia d’attacco di grande qualità, con caratteristiche complementari che esaltano la squadra.
Segnano ventisei reti in due (15 Silva e 11 Penzo) e la squadra sfiora la promozione in Serie A. Una inattesa sconfitta contro un appagato Lecce costringe i brianzoli allo spareggio con il Pescara che gli abruzzesi faranno loro con un perentorio due a zero. Ancora una volta il “miele sulle labbra” di una promozione sfiorata e sfuggita per un soffio.
Arrivano poi due buone stagioni a Brescia ma è nel 1981 che arriva “la chiamata” che cambierà la carriera di Domenico Penzo: a volerlo è Osvaldo Bagnoli, nuovo allenatore del Verona.
Gli “scaligeri” sono in Serie B ma la squadra ha qualità.
Ci sono giovani di sicuro valore come Roberto Tricella, Antonio Di Gennaro ed Emidio Oddi ma serve come il pane un “bomber” di categoria che garantisca gol e fisicità.
Le cose vanno a meraviglia. Il Verona conquista la promozione in Serie A anche grazie alle 14 reti di Penzo.
A questo punto però non sono pochi quelli che iniziano a sollevare dei dubbi: Penzo ha ventinove anni e in Serie A ci ha giocato solo otto stagioni prima segnando la bellezza di ... un gol.
Forse, pensano da quelle parti, per salvarsi serve altro.
Per fortuna non la pensa così colui che conta più di tutti ovvero Osvaldo Bagnoli, che conosce i calciatori e ancora di più gli uomini.
Domenico è determinato, ha una voglia matta di dimostrare il suo valore anche nella massima categoria. Bagnoli lo sa e gli dà fiducia. ... ma forse neppure lui si aspetta quanto questa fiducia gli sia riconosciuta da “Nico” e dalla sua bravura.
Penzo segna addirittura un gol in più che nella stagione di Serie B!
Arriva a quindici reti in campionato (meglio di lui, con un solo gol in più, un “certo” Michel Platini) a cui si aggiungono altre sette segnature in Coppa Italia.
Per i gialloblu veneti arriva uno strabiliante quarto posto (con la qualificazione in Coppa UEFA) e addirittura la finale di Coppa Italia, persa contro la Juventus capace di rimontare a Torino lo zero a due dell’andata ... grazie ad un gol di Michel Platini all’ultimo minuto dei supplementari. Insomma, un’annata da incorniciare, la più bella della carriera.
“Nico” sa dove si trovano i pali della porta ... e in quel 1982-83 lo dimostra anche sul palcoscenico più difficile.
A Verona sta come un Papa, con Osvaldo Bagnoli ha un rapporto splendido così come con i compagni e i tifosi.
C’è un quarto posto da confermare e c’è soprattutto una stimolante avventura in Europa.
Ma quello che sta per accadere non è probabilmente nemmeno nei sogni dell’ormai trentenne veneziano.
Arriva la telefonata di Gianpiero Boniperti.
La Juventus vuole Domenico Penzo. Si, proprio quello del Borgosesia e della Romulea, quello che si è fatto quattro o cinque “giri d’Italia” da una squadra all’altra.
La “vecchia signora” del calcio italiano si è accorta, dopo la finale persa ad Atene poche settimane prima contro l’Amburgo, che solo con il fioretto non puoi vincere sempre.
Michel Platini, Zibì Boniek, Paolo Rossi ... tutti grandi, grandissimi giocatori.
Ma a calcio a volte, serve anche la “spada”.
Ovvero qualcuno che lotti, apra varchi ai compagni, vada a lottare per una palla contesa, prenda e dia botte per conquistare palloni da servire poi a quelli “bravi”. Per Giovanni Trapattoni, che della pragmaticità ha fatto un arte, Penzo è l’uomo ideale.
La Juventus a fine stagione conquisterà il titolo e Domenico Penzo, quello del Borgosesia e della Romulea, si metterà sul petto uno scudetto.
E una Coppa delle Coppe, dove al primo turno segna la bellezza di quattro reti nella stessa partita, contro i polacchi del Lechia Danzica.
Le sorprese non sono finite.
Stagione 1984-85.
Alla Juve si parla di un nuovo attaccante da affiancare a Rossi, Boniek e Platini.
Bruno Giordano è il nome più gettonato.
Domenico Penzo ama giocare a calcio. Quella, per lui, è la cosa più importante. Non gli interessa neanche troppo la categoria, lo ha dimostrato per tutta la carriera. Ma lui, la domenica, vuole giocare.
Quanto Antonio Juliano, direttore sportivo del Napoli, lo chiama “Nico” non esita un secondo.
Con lui arrivano giocatori di grande qualità come l’argentino Daniel Bertoni, Salvatore Bagni e Walter De Vecchi.
Ci sono già tutte le premesse per migliorare il triste 11mo posto della stagione precedente ma il bello, come si suol dire, deva ancora arrivare.
Dopo una estenuante trattativa con il Barcellona il Presidente Corrado Ferlaino riesce a chiudere l’affare: Diego Armando Maradona sarà un giocatore del Napoli. L’inizio di stagione illude un po’ tutti.
In Coppa Italia, che allora apriva la stagione calcistica, Maradona, Bertoni e Penzo vanno in rete in tre delle prime quattro partite.
A Napoli c’è un fermento mai visto ma l’inizio della stagione non è come nelle attese.
Nel girone di ritorno la squadra cresce, arrivano risultati importanti e una sola sconfitta in tutto il girone di ritorno (con il Milan alla 21ma giornata) e la qualificazione alle Coppe Europee non arriva per un solo punto.
Nella stagione successiva al Napoli arriva Bruno Giordano e per Penzo, che ha ormai 32 anni, le porte della prima squadra sono ormai definitivamente chiuse. Onorerà il contratto triennale con i partenopei anche se nell’ultima stagione non vedrà mai il campo.
C’è un ultima sfida, a Trento in C1.
Le fatiche, gli anni e le tante botte a fare spazio per sé e per i compagni di reparto si fanno sentire.
A quasi trentacinque anni Domenico Penzo dice basta.
Le statistiche raccontano di quasi 150 reti ufficiali ma le statistiche non dicono la cosa più importante: che Domenico Penzo può affermare a testa alta quello che pochi attaccanti possono dire: che dove era lui la principale “bocca di fuoco” ha sempre fatto tanti gol e dove invece doveva fare da “spalla” ... i tanti gol li facevano quelli al suo fianco.
ANEDDOTI E CURIOSITA’
Le sue parole su Diego Maradona confermano la grandezza del “diez” argentino, come calciatore e come uomo.
«Diego non s’è mai lamentato per le botte che prendeva. Come se fosse naturale tutto quello che gli accadeva quando lo marcavano. Mai un gesto fuori luogo o una contestazione. Anche con il gruppo. L’ha sempre difeso pubblicamente, nascondendo eventuali errori …”.
Aggiungendo che «il vero Diego lo vedevi in allenamento. Faceva cose pazzesche e lì si capiva quanto amasse giocare a pallone»
Molto onesta la sua disamina del calcio attuale.
«E’ cambiato tutto. Gli attaccanti attuali sono magari più bravi tecnicamente ma con la zona è tutto più facile. Noi avevamo un avversario attaccato alle costole e quando riuscivi a superare lui c’era il libero. Era impossibile finire una partita senza lividi. Le prendevi, le davi e nessuno si lamentava.»
I ricordi dei tanti difensori affrontati in carriera.
«Silvano Fontolan è stato probabilmente il difensore più corretto che ho affrontato in carriera. Ruud Krol il più forte di tutti. Un’eleganza e una tecnica di altissimo livello. I più “tosti” Sergio Brio, Moreno Ferrario e Cesare Cattaneo. Con loro erano “botte” vere!»
Infine un bellissimo aneddoto che più di ogni altro ci racconta di un calcio che non c’è più.
«Era il mio primo anno di serie A alla Roma. Giochiamo contro il Napoli. Mi marcava il grande Tarcisio Burgnich. Senza volere (lo giuro!) gli faccio un tunnel. Sul pallone successivo Burgnich entra deciso e mi spedisce sulla pista di atletica!
«Certe cose non si fanno!» mi dice subito dopo in tono molto deciso.
... ovviamente mi sono scusato io con lui!»