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  • Il Napoli bis non è da scudetto

    Il Napoli bis non è da scudetto

    Se è vero che, a volte, la sorte aiuta gli audaci, è altrettanto vero che per sfidarla (la buona sorte) bisogna usare il buon senso. Così, ad uscire bocciato dal viaggio a Verona è un Napoli in versione mai vista perché il suo condottiero sceglie di stravolgerne l'architettura come se il pallone non fosse anche il prodotto di alchimie e logica. Lavezzi, Campagnaro e Dossena sono a casa; Paolo Cannavaro, Inler, Hamsik e Cavani in panchina: storie da non crederci se non fosse la realtà al fischio d'inizio del signor Damato. Il film della partita esce con un copione che sorride ai veneti, umili e organizzati. A Mazzarri non restano che i mea culpa per aver osato oltre ogni limite proprio contro quella squadra, il Chievo appunto, che lo scorso campionato gli tolse sei punti su sei.


    Il Napoli che ha strappato applausi e consensi a Manchester (casa City) o quello che si è divorato il Milan al San Paolo soltanto tre giorni prima non c'è. Mazzarri ordina la rivoluzione e, nei numeri, la mette in campo: sette, come detto, gli interpreti diversi nella truppa azzurra nella notte del Bentegodi. Il pubblico gialloblù si stropiccia gli occhi e si accomoda in tribuna con qualche certezza in più di quelle che avrebbe avuto se, davanti, si fosse presentata una corazzata partenopea carica di tutte le proprie frecce fin dall'avvio.

    Napoli in maschera e Mazzarri deciso a sfidare la piazza, forte del credito fin qua guadagnato. Zuniga e Maggio restano gli unici punti di riferimento insieme alla grinta e reattività del rigenerato Gargano: tutto intorno, là davanti e dietro, è come se in scena andasse la prima volta. In difesa ci sono il giovane - 22 anni - Fideleff, al debutto assoluto, ma, a comporre la retroguardia azzurra, c'è anche Aronica nell'insolito ruolo di centrale e Fernandez, unica presenza gli otto minuti finali del viaggio a Cesena. L'attacco vive, o almeno dovrebbe farlo, sulle intuizioni di Mascara e Santana e sulle verticalizzazioni dell'ex interista Pandev. Risultato? Per l'intero primo tempo il Napoli naviga in acque sicure per i guantoni di Sorrentino perché entra nell'area avversaria solo due volte e, soprattutto, non tira mai verso la porta del Chievo. I tremila tifosi partenopei osservano senza disturbare il niente di fatto dei propri idoli, ma, ad un soffio dall'intervallo, sbottano. «Noi vogliamo Edinson Cavani...», è il coro della curva azzurra. Musica, al contrario, per le orecchie e le scelte del condottiero rivoluzionario.

    A Verona, il Napoli non c'è. Lontana appare la notte di Champions League così come la sera dei botti contro il Milan. Mazzarri ha la solita camicia bianca, ma non la fretta di scommettere su alcuni dei suoi cavalli di razza. Lo fa soltanto quando al sipario manca poco più di mezz'ora: dentro il Matador uruguaiano, fuori Santana, spazio ad Inler con Maggio in panchina. La sfida va avanti a strappi, emozioni con il contagocce ed è il Chievo con un assalto di testa di Jokic e con un pallone velenoso di Moscardelli a scuotere lo stadio fino all'acuto, decisivo, dello stesso Moscardelli aiutato da un'amnesia di Fideleff. Dei sette cambi rispetto all'incrocio con il Milan solo due erano irrinunciabili perché Lavezzi ha una caviglia malconcia e Dossena è stato colpito da un lutto familiare. Per il resto, Mazzarri ha voluto sfidare sorte e scaramanzia.


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