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  •  Ilaria Capua coerente verso il vaccino, ma le parole sull'immunità di gregge sembrano quelle di Boris Johnson

    Ilaria Capua coerente verso il vaccino, ma le parole sull'immunità di gregge sembrano quelle di Boris Johnson

    • Roberto Petrucci
    Sono giorni difficili, bui, mesti. Giorni in cui una buona fetta di popolazione ha subito la condanna a morte del proprio settore lavorativo e l’altra fetta, quella non toccata dalle restrizioni, fa finta di nulla, come se non ci fossero altre soluzioni. Sarà nuovamente guerra tra poveri, ma stavolta rischia di essere sanguinosa e deleteria a livelli altissimi. Andava fatto di più? Probabile. Andava fatto qualcosa? Sicuro. Siamo di fronte ad un concorso di colpa generale, in cui l’unica speranza sembra essere il beneamato vaccino. Cura di ogni male. O forse no?

    In questi mesi abbiamo assistito a tanti interventi e troppe versioni da parte di svariati medici, scienziati, virologi e quant’altro. Tutte persone dotate di immensa cultura scientifica che però troppo spesso le ha portate a fuorviare l’informazione o ad andare in contrasto tra le loro tesi, semplicemente perché nessuno ha mai posto la legittima poca conoscenza del virus prima della propria indiscussa capacità. Senza dilungarsi nella stesura di nomi che andrebbero a creare inutili polemiche, ne cito solo uno: Ilaria Capua.

    Nata a Roma il 21 aprile 1966, nel 2006 ebbe notevole risonanza internazionale la sua decisione di rendere di dominio pubblico la sequenza genica del virus dell'aviaria, che diede il via allo sviluppo della cosiddetta "scienza open-source" e iniziando a promuovere una campagna internazionale a favore del libero accesso ai dati sulle sequenze genetiche dei virus influenzali. Tale intento a favore della divulgazione è stato riconosciuto da riviste di settore quali Seed e Scientific American. Proprio questo suo percorso di specializzazione nei virus influenzali ha portato Capua ad essere individuata come unica voce di riferimento da parte dei più grandi telegiornali nazionali (Tg1 su tutti). Persona estremamente colta e schietta, si è contraddistinta in questi mesi difficoltosi per il suo equilibrio rassicurante, mai un tono drammatico ma autorevolezza e sincerità nel parlare, nessun modus operandi da bar, bensì un portamento serio e ben disposto ad informare per capire. Insomma una personalità di certo poco discutibile, anche in ottica vaccino, oltre che per le parole anche per la lungimiranza di esse (datate 6 maggio): "Non sarà il vaccino che ci porterà fuori nell’immediato da questo incubo, innanzitutto bisogna vedere i risultati. Ci sono problemi di distribuzione, tutta una serie di altre questioni" e ancora "un vaccino che non ha fatto molta sperimentazione, che non abbia tutti i controlli a posto, ci penserei due volte prima di farlo". Parole in netto contrasto con i “pro vax” a priori, che affermano come il vaccino sia sicuramente la soluzione. 

    Capua sempre coerente sulla questione vaccino. Coerenza che ha portato la scienziata ad una giocata molto rischiosa. Capua ha rilanciato nei giorni scorsi sostenendo quanto sia "inutile illudersi che il vaccino sia la soluzione. Ci vorrà un sacco di tempo perché siano tutti vaccinati, e allora dobbiamo puntare alla mitica immunità di gregge, che vuol dire un’infezione endemizzata. Ma dobbiamo arrivarci facendo girare il virus lentamente, perché, se gira troppo velocemente, invece dell’immunità di gregge avremo le pecore morte". Parole forti. Parole che tanto assomigliano a quelle di Johnson e Trump, personaggi molto al di sotto della sapienza di Ilaria Capua, ma che incredibilmente avevano anticipato quella che, alla fine dei conti, sembrerebbe essere la soluzione. Una gestione dei contagi al fine di contagiarsi tutti e renderci immuni o comunque più forti nel caso si ripresentasse il virus, in attesa del vaccino a serrare totalmente le fila degli anticorpi. 

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