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  • Meno bavagli, basta con i piangina

    Meno bavagli, basta con i piangina

    Datemi un bavaglio.
    Che cosa ne vuoi fare?
    Voglio vedere l’effetto che fa mettersi in ridicolo, indossarlo perché indignati e feriti a morte da errori arbitrali veri o presunti.

    L’Inter ieri sera ha finito in nove una partita che fino all’espulsione di Miranda aveva gestito serenamente, pur senza mai tirare in porta. Perché l’Inter di quest’anno è così, gli schemi e i gol sono un vezzo borghese che alla squadra di Mancini non interessa, meglio tener palla e fare densità, che poi con tutta questa densità alla fine il cucchiaio si pianta nel mezzo e la cena tocca buttarla.
    L’arbitro Guida e i suoi collaboratori non erano in serata, capita.
    Un rigore inventato, un’espulsione inventata e in effetti le partite cambiano.
    Il Torino di Ventura incassa e ringrazia, il calcio va avanti e anche se l’Inter di quest’anno non è stata fortunata con le serate e le giornate degli arbitri, il senso è che non accettare il verdetto del campo e inscenare proteste come quelle del dopo derby torinese è grottesco e poco degno di una stampa sportiva che voglia definirsi tale. La Juventus ha fatto 10 gol in tre partite, il Toro due di cui uno su rigore, il resto sono ottimi spunti per quella rovinosa abitudine del calcio italiano che è il senno del poi, ma soprattutto il complottismo.
    Gli arbitri sbagliano, i giocatori sbagliano, agli arbitri si chiede solo di limitare l’impatto dell’errore umano e di aiutarsi un po’ di più, che se no che cosa ci stanno a fare in 5?

    Higuain alla fine ha perso la testa.
    Più di altre volte, più di quanto avrebbe voluto e dovuto
    .
    Ha messo le mani addosso all’arbitro (anche solo poggiarle sul petto del direttore di gara è una fenomenale scemenza), ha spento l’erogatore di ossigeno del cervello e ha fatto quello che fanno molti quando la frustrazione e la rabbia mettono all’angolo razionalità e professionalità.
    Higuain in campo è sempre nervoso, agonista come pochi è uno di quelli che fa dell’elettricità e della competitività assoluta la miglior benzina per un talento già straordinario.
    Ieri ha visto lo scudetto, il traguardo che ha voluto e che insegue da agosto con una voglia e una protervia che nessuno dei suoi compagni riesce ad eguagliare, andarsene via, sfuggire una volta per tutte (forse), e ha perso la testa.
    I processi sommari lasciamoli fare ad altri, Higuain ha sbagliato ed è certamente il primo a saperlo bene. Resta un giocatore fantastico, difficile da gestire e forse troppo insofferente in una dimensione che sente sua solo a tratti, perché trasformare un vincente in outsider non è facile.

    A questo punto è chiaro, il tema Totti – Spalletti esce decisamente dalla categoria delle cose di campo ed entra nella dimensione personale, nella sfera dei rapporti tra i due e diventa un mistero, perché i rapporti tra i due sono riservati e insondabili. Che sia successo qualcosa anni fa, che sia successo qualcosa negli ultimi mesi conta poco.
    Spalletti è un allenatore di talento ed esperienza, giudicare il suo operato e le sue scelte senza aver mai gestito nemmeno i pulcini della Sancazzese sarebbe sbagliato e arrogante, ma da amante del gioco mi permetto di scrivere che non vedere Totti in campo ieri, nemmeno per la passerella finale e gli abbracci, nemmeno contro una Lazio disastrosa, triste y final, è stato osceno.
    In uno stadio vuoto, se davvero quello di ieri è stato l’ultimo derby di Francesco Totti, allora si può serenamente affermare che Spalletti ha commesso un grande, grave errore. 
    Non si nega il palco a chi ha costruito tutto il teatro.

    La Juventus ha vinto.
    Non è una notizia, lo sarebbe il contrario, era da tanto che non si vedeva in giro una squadra così.
    Feroce, consapevole e determinata.
    Quindi ha vinto.

    Il Milan non ha vinto e non era da tanto che non si sentivano dichiarazioni come quelle di Mihajlovic.
    Che uno si chiede: ma povero Sinisa, cos’altro potrebbe dire?
    Chi lo sa, bisognerebbe passarci per quel gran casino, come lo ha definito (più o meno), Di Francesco.
    Passarci per capire che succede. 


    Michele Dalai 

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