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  • Juve: la malinconia di Sarri, che equivoco con Nedved e Paratici

    Juve: la malinconia di Sarri, che equivoco con Nedved e Paratici

    • Fernando Pernambuco
      Fernando Pernambuco
    C'è già chi tende a sminuire la vittoria del nono scudetto della Juventus. E non si tratta  necessariamente di antijuventini. Chi afferma che questo, giocato ogni tre giorni, non è calcio (Juric); chi dice che senza pubblico, senza partite in casa e fuori casa, senza l'energia delle gradinate, è diventato un altro sport. E poi ci sono quelli che dichiarano: "La Juve l'ha vinto male, meritava l'Atalanta", dimenticandosi come un campionato abbia due gironi. La prima parte di quello dell'andata non si può dire sia stato esemplare per gli orobici. Tutti costoro si dimenticano che in pieno Covid, erano stati molto pochi a invocare la chiusura e la vittoria, sul modello francese, della prima in classifica al momento della sospensione: l'etica sportiva dove sarebbe andata a finire? E i secondi che potevano arrivare primi? E i diritti televisivi ecc. 

    Credo che abbia ragione chi dice: "Se l'avesse vinto l'Atalanta o l'Inter, allora tutti contenti, così, invece, è la solita solfa, la solita Juve e questo proprio non va giù". Anzi no - dicono - è la peggiore Juventus degli ultimi 9 anni, aggiungendo un altro motivo d'insoddisfazione, che trova il consenso dei più. Lo stesso Sarri, alla sua prima vittoria di uno scudetto, ha fatto una battuta rivelatoria. Nello spogliatoio, dove era andato, senza prima festeggiare in campo, privo di tifosi, ma con tanto di telecamere, ha detto ai suoi giocatori: "Se avete vinto senza di me, allora siete davvero forti". Può avere tanti significati quest'amara ironia: "Io non sono un vincente" o, viceversa "alla fine ce l’ho fatta! Sono stato più forte di me stesso!". 

    Resta il fatto che è emersa, proprio come può capitare nei momenti di trionfo quando la tensione al culmine si scioglie, la vena malinconica di Sarri. Il vecchio Sarri ha qualcosa in comune col giovane Werther, che, innamorato di Lotte, passa i suoi giorni a vagheggiare un amore impossibile (per le convenzioni, per la morale, per la paura di lei di abbandonarsi al sentimento) e viene travolto dagli impeti del cuore, senza dominarli con la ragione. Questo amore impossibile genera tristezza, malinconia, disperazione. 
    Sarri era innamorato del bel gioco, della velocità, delle triangolazioni strette, del calcio strapensato prima (nelle lezioni tattiche, negli allenamenti, negli esperimenti ) e realizzato in campo, ma alla fine, la sua squadra questo amore non l'ha corrisposto e lui giocoforza, malinconicamente, si è dovuto adattare. La Juventus è stata la sua Lotte: paura o impossibilità di cambiare, abitudine storica a certe convenzioni calcistiche, impossibilità a reggere l'idealizzazione del suo allenatore. 

    Diversamente da Werther, per Sarri c'è stato il lieto fine, ma chissà dopo quante sofferenze e difficoltà, perché si può essere comunicativamente ruvidi, sprezzanti, semplicistici, cocciuti, però quasi ogni volta che la Juve entrava in campo, il suo sogno si spezzava: invece della squadra "romantica" capace di gettare il cuore oltre l'ostacolo, si ritrovava, fra le mani, un ragioniere vergognoso di esserlo. Così è venuto fuori un ibrido, teoricamente interessante, praticamente fragile, fatto di calcolo passionale o di passione calcolatrice, capace di generare troppe volte una confusione d'identità. 
    Il grande equivoco, non solo suo, ma anche di Nedved e Paratici è forse stato quello di proiettare un sogno su una realtà che non era in grado di accoglierlo e realizzarlo. Come se Werther, per sopravvivere, avesse sposato la cugina di Lotte e dopo avesse pensato: "In fondo il matrimonio è andato bene, nonostante me". 

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