Kiraly e la sua tuta salutano il calcio: ecco tutti i vezzi da numero 1
In un mondo come quello del calcio regolato dal marketing, Kiraly ha trovato il modo di essere diverso, unico, speciale. Come tutti i migliori comprimari del cinema, ha cercato una caratterizzazione. L’ha fatto recuperando un indumento vintage come la tuta, che riporta la memoria all’ora di ginnastica, tra improbabili quadri svedesi e partitelle dove si comincia giocando a volley e si finisce a calcio. Il vezzo stilistico non è una novità, soprattutto tra i portieri. Con i pantaloni lunghi ricordiamo, ma non sempre, il camerunese Thomas N’Kono, il francese Bernard Lama e anche il colombiano Renè Higuita. Il portiere Tomaszewski - Polonia anni ’70 - scendeva in campo con una fascia che gli teneva fermi i capelli, solitamente lunghi e arruffati. Stesse modalità di quel matto di Gatti, il portiere del Boca. Da noi i portieri hanno vestito per decenni di nero, così fece scalpore quando Ricky Albertosi si presentò con una maglia gialla (è così che vinse lo scudetto della Stella nel 1978-79). Ma Ricky già ai tempi di Cagliari vestiva di rosso (mentre Zoff sceglieva il grigio).
La moda della maglia colorata all’eccesso ha trovato nel messicano Campos - lo ricordate? sembrava un acquerello - il suo massimo rappresentante. Il cappellino col frontino è sempre stato utile per ripararsi dal sole. L’hanno portato il «Giaguaro» Castellini, Walter Zenga e qualche volta, più tardi anche Gianluca Pagliuca e Massimo Taibi, oggi invece prerogativa di Handanovic. Il ceco Peter Cech - oggi all’Arsenal ma per tanti anni al Chelsea (dove potrebbe tornare come ds) - scende in campo da anni con un caschetto di protezione. Il caschetto necessario dopo lo scontro con il ginocchio di Stephen Hunt, il 14 ottobre 2007 a Reading, quando Cech rischiò la morte per la frattura depressa dell'osso temporale sinistro. I più appassionati ricorderanno senz’altro Massimo Mattolini, portiere di Fiorentina e Catanzaro negli anni ’70 e ’80: giocava con la coppola, così come - in certe partite - il grandissimo Yashin, negli anni ’60. Mattolini era soprannominato «Saponetta», perché ogni tanto gli sfuggiva il pallone dalle mani e prendeva gol clamorosi. Ma non certo per colpa della coppola.