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  • La Nazionale come specchio della mediocrità che siamo

    La Nazionale come specchio della mediocrità che siamo

    • Pippo Russo
      Pippo Russo
    Uno degli aspetti più surreali della ferale serata palermitana è venuto dalle opinioni espresse a caldo di telecronisti e commentatori Rai. Che come se dovessero a tutti i costi edulcorare il palese sfascio del nostro calcio sono andati a cercare la più bizzarra delle attenuanti. E così si sono appellati al fatto che la Macedonia del Nord “ha fatto un solo tiro in porta”. Come se non si stesse parlando della nazionale che occupa il posto numero 67 nel ranking Fifa, e che nel suo momento di maggior gloria (anno di grazia 2008) non è andata oltre la piazza numero 46. E come se i macedoni non fossero già discretamente paghi di essere lì a Palermo per giocarsi un primo play off dal pronostico che pareva chiuso. Questa banda di assoluti outsider ha vinto “facendo un solo tiro in porta”. E in quale altro modo avrebbero dovuto vincere, dato che erano anche pronti a subire la sconfitta sonora sul campo dei campioni d'Europa? Che invece, dal canto loro, vanno soccorsi con giustificazioni irricevibili. Il cui solo effetto è quello di dare l'esatta misura dello stato di mediocrizzazione del calcio nazionale.

    Uno stato di cabotaggio sempre più piccolo, che trova riflesso in diversi indicatori. Dalla perduta competitività internazionale dei nostri club alla desertificazione dei vivai, dall'invasione di calciatori stranieri di dubbia qualità alla caccia all'oriundo (di spessore sempre più scadente) per sopperire alle falle del nostro sistema formativo. Di un movimento così povero tecnicamente, nonché in costante situazione di crisi economico-finanziaria, la nazionale non può che essere un'emanazione. E i risultati degli ultimi quattro cicli mondiali stanno lì a testimoniarlo. Dopo in trionfo ai mondiali tedeschi del 2006 si sono succedute due eliminazioni al primo turno delle fasi finali e due mancate qualificazioni. Un'involuzione costante rispetto alla quale i risultati degli Europei (una vittoria nel 2020-21, un secondo posto nel 2012, due dignitose partecipazioni nel 2008 e nel 2016) hanno fatto da ingannevoli controindicazioni. Perché magari capita ancora di raccogliere le energie per il colpo di coda, ma poi si torna nel trend del declino. Sicché può succedere che la nazionale campione d'Europa in carica sperperi l'impresa nel giro di pochi mesi, mancando la qualificazione diretta in uno fra i gironi più facili del lotto e poi arrendendosi davanti a una nazionale di terza fascia.

    Ma quel che è peggio, è il diffondersi di una mediocrità d'animo, di una pusillanimità d'ufficio, a dover allarmare. La stessa che porta a cercare l'attenuante dell'unico tiro in porta scagliato dai macedoni. E che avevamo letto in filigrana nei commenti che hanno accompagnato, lo scorso lunedì, la vittoria della Juventus contro la Salernitana. Un episodio che a suo modo diventa emblematico dello stato comatoso del nostro calcio.

    La squadra che è per quasi un decennio è stata leader del calcio italiano, la sola che finché ha potuto è riuscita a tenere alto il livello di competitività internazionale del nostro movimento, era appena stata sbattuta fuori in malo modo dalla settima in classifica della Liga spagnola. Ci si sarebbe aspettato che un 2-0 in casa contro un'avversaria già praticamente retrocessa a novembre suscitasse commenti misurati, condizionati dal retropensiero di una figuraccia di squadra che. Conseguita pochi giorni prima, era anche figuraccia complessiva del calcio nazionale: 4 su 4 già fuori dalla Champions League già a marzo, 2 su 2 delle qualificate dal campionato fuori dall'Europa League già a febbraio, con la sola Atalanta superstite nella stessa Europa League (ma dopo essere stata eliminata dalla Champions) e la Roma che prosegue nella terza coppa appena inaugurata. E invece i commenti del giorno dopo magnificavano la vittoria juventina come si trattasse di un grande risultato. Piccolo cabotaggio nelle dimensione di club che si riflette nel piccolo cabotaggio nella dimensione delle rappresentative nazionali.

    E già, sarà stata solo sfortuna se ci avviamo a accumulare (almeno) 12 anni senza partite della nazionale in una fase finale dei mondiali. Era il 24 giugno del 2014 quando l'Uruguay eliminava la nazionale guidata da Cesare Prandelli dal mondiale brasiliano. E chi l'avrebbe mai detto che dovessimo guardare a quella disfatta come a un tempo felice? Ci cacciavano subito dai mondiali, ma almeno ci si arrivava. Quanto è triste accontentarsi degli insuccessi passati.

    @pippoevai

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