Calciomercato.com

  • La Roma gestisce il vantaggio come una Juve qualsiasi, ma in finale serve di più: lo spettacolo è tutto sugli spalti

    La Roma gestisce il vantaggio come una Juve qualsiasi, ma in finale serve di più: lo spettacolo è tutto sugli spalti

    • Giancarlo Padovan
      Giancarlo Padovan
    Il massimo con il minimo. Roma in finale di Conference League - la nuova e terza coppa istituita dall’Uefa - con un colpo di testa di Abraham al 10’ del primo tempo, poi ancora un paio di tentativi meritevoli del raddoppio e infine una lunga e snervante attesa che il tempo passasse senza che il Leicester provasse a farsi minaccioso.

    Non è stata una partita, è stata un’epifania con l’apparizione di una finale europea che può regalare alla squadra di Mourinho un trofeo dopo quattordici anni. Se sarà l’occasione per riscattare una stagione non propriamente esaltante (la Roma finirà dal quinto posto in giù) ancora non sappiamo. Quel che è certo è che il 25 maggio, a Tirana, i giallorossi affronteranno gli olandesi del Feyenoord, imbattuti a Marsiglia, nella semifinale di ritorno (andata 3-2), in una gara equilibrata e dalla vittoria plausibile.

    Certo, sarà necessario giocare meglio di ieri sera e quando dico meglio, intendo, per capirci la gestione della palla e le relative ripartenze. Troppo poco monopolizzare una mezz’ora e poi mettersi a controllare la partita lasciando, però, il pallone all’avversario. Strano, anzi, che il Leicester non ne abbia saputo approfittare, magari alzando il ritmo, magari pressando più alto o tirando meglio dalla distanza. Ma quella di Rodgers è ormai una piccola squadra. Undicesimo in Premier, svuotato dei campioni con cui, dopo il titolo conquistato da Ranieri, era riuscita a restare comunque competitivo, il Leicester vale un’italiana qualsiasi di metà classifica. Mourinho lo sapeva fin dalla gara d’andata, quando non colse l’occasione di vincere ed ipotecare la finale. Così, ieri notte, ha mandato in scena la versione più sparagnina della Roma. Quella che, come una Juventus qualsiasi, segna, gioca sulla spinta del vantaggio e poi preferisce amministrare.  
    Lo spettacolo, dunque, è stato più l’Olimpico pieno (70.000) che canta, balla sbandiera e grida il suo entusiasmo rispetto ad un confronto di bassa qualità. La Roma non è stata travolgente, anche se ha cominciato meglio del Leicester.

    Dall’asse di sinistra, costituita dal giovane esterno Zalewski e Lorenzo Pellegrini, sono venuti i primi pericoli per Schmeichel. Dopo 7 minuti e 23”, il ragazzino conquista una punizione defilata che il capitano batte direttamente in porta. Il portiere danese, anche se un po’ goffamente, mette in angolo.

    Meno di un minuto dopo, ancora da sinistra e ancora con Zalewski e Pellegrini, nasce un angolo senza frutto. Ma sul successivo, calciato ancora da Pellegrini, anche se da destra, Abraham stacca di testa e mette sotto la traversa. Primo gol dell’attaccante al Leicester e opportunità immediatamente sfruttata sui calci da fermo, il tallone d’Achille della squadra di Rodgers. Nell’occasione è Ricardo Pereira ad avvilupparsi ad Abraham, ma il suo tentativo scomposto di disturbarlo naufraga al cospetto del salto in alto e della testata del romanista.
    Sulla destra della difesa inglese c’è una voragine se è vero, come è vero, che Zalewski e Pellegrini imbastiscono l’ennesima combinazione (16’) con il tiro del capitano murato ancora dal portiere.

    La Roma gioca meglio per due ragioni. Primo. Il Leicester commette errori marchiani anche nelle giocate più semplici. Secondo. Il vantaggio toglie pressione, infonde sicurezza e consente azioni di qualità. Come quella, propiziata da Abraham che, strappa la palla ad un avversario sulla trequarti, ne salta un altro e serve la sovrapposizione di Zaniolo alla sua destra. Il tiro è a botta sicura, ma, prima che intervenga Schmeichel, Evans devia.

    Non siamo ancora alla mezz’ora del primo tempo e la Roma, praticamente, si ferma qui. Mourinho percepisce che il Leicester è poca cosa. Tuttavia, anziché accelerare, e magari insistere con il 3-4-2-1, abbassa Pellegrini e, a volte anche Zaniolo, per un 3-5-1-1 assai conservativo.

    Lo ripeto: la Roma non corre alcun rischio (i primi tiri in porta degli inglesi sono di Maddison al 78’ e di Iheanacho, subentrato a Barnes, all’82’), ma proprio per questo mi vien da chiedere se fosse il caso di recuperar palla (operazione che ai giallorossi riesce quasi sempre) ed azionare la ripartenza.

    Comunque va così e ad animare (si fa per dire) la partita sono solo i cambi: Amartey per Lookman e Iheanacho per Barnes all’intervallo. Poi Castagne per Pereira (69’), Perez per Dewsbury-Hall (76’). I crampi dei romanisti (la tensione fa la sua parte) costringono Mourinho a togliere Zaniolo (78’) a beneficio di Veretout, poi fuori Zalewski e dentro Vina (84’). Abraham è sfinito, ma deve aspettare l’88’ per vedersi avvicendato da Shomurodov. In coda potrebbe esserci il veleno. Maddison spara fuori un gran tiro dal limite (92’), Sergio Oliveira (94’) prova a sorprendere Schmeichel con un tiro deviato in angolo a fatica.

    E’ il 95’ e a trentun’anni di distanza dall’ultima volta, la Roma va a giocarsi una finale europea. Anche se si chiama Conference non si può dire che non fosse l’ora.

    Altre Notizie