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  • Laziomania, serve una rivoluzione sul mercato: tutti in discussione

    Laziomania, serve una rivoluzione sul mercato: tutti in discussione

    • Alessandro De Felice
    Notte fonda. Crollo totale e una crisi che appare irreversibile. Tutti colpevoli, nessuno escluso. Siamo a metà marzo, ma se non fosse per le due semifinali di Coppa Italia all'orizzonte la stagione della Lazio sarebbe già praticamente finita. Conclusa in una piovosa serata romana di marzo per mano di un'Udinese corsara, che all'Olimpico sa resistere agli attacchi - per la verità molto timidi - dei biancocelesti e colpire nel momento giusto, infliggendo alla squadra dello squalificato Sarri la quarta sconfitta di fila tra campionato e Champions League. 

    Quella che doveva essere la notte della reazione veemente della Lazio dopo l'amarezza dell'eliminazione a Monaco contro il Bayern dalla Champions, con l'obiettivo di riconquistarla, si è trasformata in un incubo a occhi aperti in cui si sono materializzati ancora una volta tutti i problemi di una squadra troppo brutta per essere vera e lontana da quelli che sono i suoi standard, almeno sulla carta. 

    Il gioco corale stenta, la squadra continua ad avere limiti evidenti in fase di costruzione e finalizzazione, lo spartito tattico è il solito e ormai arcinoto ad allenatori e giocatori avversari. Questa Lazio prova a rifugiarsi ancora una volta nelle individualità, ma finisce per sbattere su singoli che stentano, o per meglio dire risultano totalmente appannati, con idee confuse e poco concreti. 

    La staffetta Immobile-Castellanos non produce praticamente nulla di buono, così come quella tra Felipe Anderson e Isaksen. Tutti sottotono, mai nel vivo della gara e in grado di impensierire la difesa avversaria. Zaccagni è l'unico a creare pericoli (e non a caso il gol fortunoso arriva da una sua iniziativa), insieme a Vecino che come al solito, nel silenzio, fa un gran lavoro. Luis Alberto, invece, ci mette il cuore e lavora tanto più col linguaggio del corpo che col pallone tra i piedi, risultando impreciso e inconcludente. Davvero troppo poco. 

    Nella sciagurata notte dell'Olimpico sono due le novità che saltano all'occhio. La prima è il cambio all'intervallo di Felipe Anderson, ancora una volta poco incisivo e superficiale. Finalmente sostituto dopo una lunga serie di prestazioni in cui è rimasto in campo, nonostante fosse totalmente in ombra, in attesa di una fiammata che raramente è arrivata. La seconda è il cambio di modulo con il passaggio al 4-2-3-1 con l'ingresso di Pedro al posto di Luis Alberto. Era ora! Ma probabilmente è troppo tardi. Un rischio che bisognava correre già in precedenza sia nella partita contro l'Udinese che nel corso della stagione per provare a dare una sterzata a un campionato che al momento è 4 in pagella. 

    In estate sarà necessaria una rivoluzione totale. Rifondare e ripartire. Una scelta che appare la normale conseguenza della sensazione di una squadra che ha raggiunto il massimo. Una situazione allarmante, che testimonia le ambizioni di questa società. Perché risulta difficile pensare che questo gruppo sia arrivato a fine ciclo dopo aver centrato un secondo posto in classifica nella passata stagione. 

    Eppure la rivoluzione è la naturale conseguenza della filosofia societaria, che ancora una volta non ha consentito attraverso scelte oculate sul mercato di alzare il livello e di dare delle alternative valide per poter sostenere le quattro competizioni. Il solito errore, ripetuto per l'ennesima volta, dopo 20 anni di proprietà. O forse errore non è, ma una scelta ben precisa di chi davvero non vuole fare quel salto di qualità che la piazza si auspica. 

    Ora però tutti devono sentirsi in discussione, dal primo all'ultimo calciatore in rosa, passando per lo staff e il tecnico Maurizio Sarri. Serviranno riflessione approfondite, ma immediate, per iniziare a programmare e fare scelte importanti in vista della prossima estate. E se è vero che il futuro è adesso, allora in casa Lazio ci si deve interrogare immediatamente su quale direzione intraprendere per ripartire. Ognuno si prenda le sue responsabilità per gli errori commessi che hanno portato a questa situazione, il primo passo per crescere con consapevolezza e maturità. 

    Maurizio Sarri, che non è esente da colpe, aveva più volte lanciato il monito legato a una rosa non all'altezza degli impegni da affrontare. Un appello disperato che non ha mai trovato il supporto della proprietà, che a gennaio ha lasciare scorrere l'intero mese di calciomercato per poi ritrovarsi nelle ultime ore a fare un tentativo disperato per un rinforzo che poi alla fine dei conti non è arrivato. Una situazione già vissuta in passato. Vista e rivista, con il solito epilogo, ovvero l'allenatore a pagare per colpe non sue. 

    Ripartire. E farlo immediatamente. Quattro sconfitte di fila nel momento clou della stagione rappresentano la fotografia perfetta di una squadra fragile, insicura, immatura e scollata. Molte volte i singoli provano a riempire il vuoto di uno spartito monocorde dal punto di vista tattico, fin troppo leggibile e scontato e che non produce più l'effetto sperato da Sarri, con lampi individuale, distanti dal contesto di squadra, e raramente vengono premiati da capacità e fortuna. 

    A completare il quadro le parole e gli sfoghi pubblici di alcuni protagonisti, come quello di Ciro Immobile in occasione del cambio. A Firenze fu Luis Alberto a parlare e lanciare qualche stoccata. Questa volta è il capitano a interrogarsi sulla sostituzione a pochi passi da microfoni e telecamere a bordocampo. E se è vero che da una parte c'è tanta voglia di tornare a far bene e in momenti concitati la lucidità viene meno, dall'altra da alcune figure carismatiche e pilastri dello spogliatoio ci si aspetta che in certi momenti l'io faccia completamente posto al noi per il bene della Lazio. Cancellando malumori per questioni personali e le parole per dar spazio ai fatti, in campo, per provare a riportare il sereno, anche e soprattutto nei momenti di grande difficoltà. 
     

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