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  • Laziomania: et in terra sonno

    Laziomania: et in terra sonno

    Et in terra pax, oppure, Felipe nostro, che rimani in panchina: potrebbe cominciare così, il paternoster dell'ennesima occasione persa per diventare buoni cristiani (la strada della penitenza è lunga, per i tifosi della Lazio, pecorelle smarrite nei vortici della bile). Una squadra religiosa, questa Lazio. Una squadra religiosa nel suo cercare sempre di porgere l'altra guancia: Matri porge l'altra parolina di troppo all'assistente, e decide, misericordioso, di pareggiare i conti celesti di Celi, che lo butta fuori, dopo aver giustamente inquisito Danilo, per fallo da braccio secolare su Djordjevic. Dal profondo la Lazio grida, il canto gregoriano assopisce, sembra, perfino Tare in tribuna: eppure è un crescendo emozionante di mancanza di intensità, forza fisica che viene meno, ripetizioni di un rosario piuttosto scontato di traversoni in mezzo (quasi sempre sballati), in cui Konko dimostra di avere più fiuto del gol dei suoi colleghi avanzati, pensate un po', ma anche quel pizzico di buon Samaritano nel graziare l'Udinese tramortita, mai troppo pericolosa, piuttosto sparring-partner, piuttosto comprimaria, un Simone di Cirene sulla scena del Golgota (questa è tosta eh, è quello a cui viene chiesto di portare un po' di croce, portate un po' la nostra, dell'ennesimo pareggiotto immiserito).

    Una squadra religiosa, questa Lazio: probabilmente per pregare insieme il team manager Manzini è stato accompagnato gentilmente dal collega friulano. Il peccato originale: aver cercato di velocizzare la rimessa laterale, che un raccattapalle un po' troppo bianconero tardava tardivo, forse immerso in meditazioni mistiche. Questo gli costa, al povero Manzini, gentiluomo inossidabile e magno di un calcio che forse non c'è più, di essere quasi rincorso, anzi proprio rincorso. L'ospitalità è sacra, a Udine evidentemente lo sanno bene, hanno deciso di accompagnarlo in preghiera. Una squadra religiosa, non sa a che santi votarsi Pioli: là davanti ora Djordjevic è stato tagliato fuori, ma di 3 punte hanno fatto mezzo pericolo. Forse dovevano meditare passi biblici, mentre si passavano il pallone, a piccoli passi, provando, con qualche timidezza, a scardinare i mastini friulani. Gli esterni non pungono, si accendono a tratti in estasi mistica per poi ricadere in profonda riflessioni. Konko, con la fascia di capitano, la sacra fascia che tanti dolori addusse ai biancocelesti, si indigna, ci prova, riprova, abbandonato dopo pochi minuti da Bisevac, asceso al cielo della clinica Paideia su un carro di fuoco, accendendo le critiche di chi l'aveva detto, l'aveva predetto, l'aveva profetizzato, per restare in tema.

    Una squadra religiosa, non se l'è sentita di far perdere la speranza all'Udinese, ha deciso di annunciargli la buona novella: il regno fuori dal mercato è vicino, finalmente i tifosi della Lazio potranno tirare un sospiro di sollievo, stremati da troppe novità, troppi movimenti, sussulti continui di trattative così piene di grazia, così piene di colpi spumeggianti. Ovviamente, sul finire dell'incontro, abbracci della pace in serie: il parapiglia che ne consegue sicuramente sarà solo illusione, pax vobiscum, è solo il perdono reciproco, quello che capito al triplice fischio. È solo amore fraterno, che avete capito.  Non son santi, ma chiudiamola alla The Pills, il trio romano in questi giorni nelle sale cinematografiche. Alla fine, per citarli, La Lazio sembra avere la stessa voglia di sempre di spaccare il mondo. Nessuna. 
    Amen. 


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