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    Laziomania: Mourinho parla troppo e piazza il solito pullman, trionfa Sarri

    Laziomania: Mourinho parla troppo e piazza il solito pullman, trionfa Sarri

    • Luca Capriotti
    Il derby vinto dalla Lazio avrebbe migliaia di sottotemi, visi, facce folli di difensori paranoici, le parole di Mourinho post Conference, le chiacchiere di una città millenaria intera. Il derby vinto dalla Lazio avrebbe il volto beffardo di Zaccagni (ve lo ricordate, come saltava Zaniolo sul pulman), i bisticci e le tensioni, le mani addosso e i capannelli intorno all'arbitro. Il derby di Roma potrebbe avere il volto da western b-movie di Ibanez (decisivo andata-ritorno, manco Haaland) o la smorfia del grande ex Pedro che, ebbro di doppi passi, mima il triplice fischio a pochi secondi dalla fine. Potrebbe essere il derby dei “felici pochi” citati dalla coreografia della Nord, o le risse, l’eterna royal rumble di Mou, vivo e vegeto nelle facce dei suoi nonostante sia in tribuna. Potrebbe avere molti visi, ma per me il derby ha il volto di Maurizio Sarri. 

    FILOSOFIE - Non mi piace farne una lotta di classe, o di filosofie, ma piazzare un pullman davanti alla porta come già successo a San Sebastian non è sempre una buona idea, e la Roma ora ne sa qualcosa. Mi sembra scontato dire che Ibanez mette la partita in discesa, ma Mourinho fa lo stesso. In 30’ iniziali, imposta una Roma sotto palla, senza grossa voglia di aggredire, che per atteggiamento sembra subito un po’ remissiva. Forse il piano gara prevedeva il calo Lazio nella ripresa (anche se in Olanda non mi sembra si siano molto affaticati), forse il piano era sfruttare al meglio calci piazzati e folate offensive. Forse Mou ha veramente pensato che buttarla in Royal Rumble, era far innervosire i big della Lazio e far scattare tutto quel processo di mini-risse, proteste con l’arbitro e gestualità eclatanti e urlanti che fanno della Roma una squadra caravaggesca, cupa, rissosa, Death Note. Di certo, la Lazio è sembrata più reattiva, più padrona del gioco, più attenta e più forte sui contrasti. Non è il rosso di Ibanez però secondo me cruciale: il cambio di Dybala invece depotenzia terribilmente la Roma. Ok, Sarri l’aveva ingabbiato per bene, ma al ritorno in campo non vedere il giocatore più forte giallorosso è un assist pazzesco per il morale della Lazio, e in generale per come si mette la partita. Il risultato è che Belotti resta molto solo, e la Lazio fa quello che sa fare la Lazio. Palleggio insistito, la sensazione di una pericolosità crescente, poi la staffilata di Zaccagni. Vorrei dirvi, a favore di meme, che Ibanez ci ha regalato il derby, e di certo ha un ruolo decisivo. Ma non riesco ad evitare di pensare che togliere Dybala è genetica di Mourinho, quel tipo di genoma risultatistico e un po’ retrò (molto 2007) che preferisce il difensore in più, i kili alla tecnica, una certa idea di calcio al possesso palla e al divertimento. Secondo me per Mou non è grave aver declassato i suoi a squadra difensivista, aver abbacchiato mister Colosseo quadrato Dybala o aver messo Matic per recuperarla. Il peggio per lui è aver in piena coscienza abiurato a qualsiasi ricerca del bel gioco per vincere a tutti i costi. E poi aver perso. So che questo suonerà eretico alle orecchie sensibili ora causa urlo della Nord dei cugini d’oltreTevere, ma lo dirò: la perde Mou, e la perde perché è Mou. 

    NON SOLO STRACITTADINA - Al netto e con la premessa che questa giornata di campionato è transitoria, di passaggio, e che metro dopo metro bisognerà conquistare questa Champions League, la Lazio mette una buona base in vista di un aprile-maggio complesso ma anche molto intrigante. Un macro-passo in avanti di Sarri ed i suoi, in una giornata in cui perdono tutte: Milan, Inter, Roma appunto. Si avvicina la Juve, che pur con il -15 punti non è così lontana come sembra. Non mi piace commentare Lazio-Roma solo perché è derby, ma questo è stato uno scontro diretto Champions. La Lazio da un anno all’altro di Sarri è cresciuta in maniera esponenziale, per questo per me è lui il vero volto di questa vittoria. Seconda miglior difesa, Casale Romagnoli, ma in generale tutto l'atteggiamento, hanno costruito una squadra che regge l'attrito avversario, regge gli assalti, sa difendere senza entrare nel panico. 

    FELIPE - Su Anderson ho già detto: lapalissiano che non sia Immobile, altrettanto chiaro che, in questo contesto davvero complesso, ci sta mettendo molto del suo. Disponibilità, intelligenza quando può, grande tecnica e facilità di puntare l’uomo: non è un 9, è evidente dalla sua azione personale conclusa malamente, ma è un giocatore e un uomo che sta andando oltre i suoi normali compiti e le sue consegne, è andato oltre la comfort zone del suo ruolo, si è preso calcioni e non si è tirato indietro. Non è Immobile, ma questo Felipe Anderson è simbolico per Sarri: simbolo di come ci si possa sentir parte di qualcosa di più grande. 

    COMUNICAZIONE - Ci sarebbe un tema comunicativo: a due giorni dal derby Mourinho ha deciso di regalarci ulteriori motivazioni post Conference. Un timing che nessun tifoso, giallorosso o biancoceleste, se non pazzo o folle, avrebbe manco pensato. A due giorni dal derby ci si mangiano le unghie, nobilissima arte ansiosa, piuttosto che dire qualsiasi cosa che potrebbe essere usata contro. Parlare prima è sempre deleterio. Parlare prima è un tipico difetto di un certo tipo di persone, di tifosi.  Poi ci sarebbe un tema comunicativo in campo: lo show che la Roma mette giù ogni santa partita a beneficio dell’arbitro, a metà tra isterismo, sensazione continua di un furto clamoroso, sempiterno siparietto è oramai stucchevole, una specie di commedia che riescono a sostenere oramai solo persone con qualche rabbia latente dentro, o qualche rotella fuori posto. Sui palloni spesso i giocatori della Roma sono arrivati secondi, sull’arbitro mai. Questo è Mourinho.

    LA VINCE SARRI - La vince Sarri perché è Sarri: perché gioca per giocare, perché vuole che i suoi palleggino in faccia all’avversario, perché ora vince le gare che contano però provando a giocarle anche se gli altri non vogliono. Il gioco monolitico di Sarri, i suoi palleggiatori raffinati, i Luis Alberto e i Pedro e i Milinkovic tutti insieme testimoniano tanti piccoli cambiamenti che hanno fatto virare l’esperienza di Sarri a Roma, e la stanno facendo virare verso l’alto. Per me è lui il volto del derby non perché non dorme prima della partita, perché si sta affezionando. Sono troppo arido per credere ancora a giocatori ed allenatori: credo che abbia voglia di fare qualcosa di insolito quest’anno. E il solito lo sappiamo: la solita Europa League, i soliti giovedì neri. Qualcosa di insolito e diverso. E questa vittoria, questo derby royal rumble, è la vittoria di Sarri perché più di tutti ha saputo modificarsi rimanendo sé stesso. E Sarri non è un pullman. E Sarri non è rissosi tipi da osteria. Sarri è quel palleggio vicino, tra due centrocampisti che fanno girare il pallone, le idee, la testa. Sarri non cambierebbe Dybala, Sarri non direbbe quelle cose prima di un derby, Sarri non è Mourinho, è tutta qui la partita Lazio-Roma.

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