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  • Le 12 regole non scritte del calcio di strada

    Le 12 regole non scritte del calcio di strada

    • Calciatori Brutti
    #12. Ci si trovava in tanti e partiva un torneo infinito
    Tutti i ragazzi del "quartiere" si riunivano nello stesso campetto.
    Ogni pomeriggio, tra chi arrivava prima e chi dopo, si formavano almeno 5-6 squadre.
    Naturalmente la prima a presentarsi era quella degli amici di "sempre", solitamente la più forte e affiatata contro la quale dovevi sputare un rene per riuscire a batterla.
    Poi man mano che la gente si presentava si formavano le altre, che chiaramente avevano meno qualità della prima.
    Negli ultimi anni nel calcio di strada è tornata la moda del "Chi vince Regna", dove i più bravi giocano per due ore filate sconfiggendo tutti gli avversari, gli altri fanno una partita ogni gol di Acquafresca e le buscano pure.
    Ma l'importante è sempre stato stare in compagnia.

    #11. Alla fine i capitani sceglievano la palla o il più scarso
    La scelta delle squadre è sempre stato un cruccio da affrontare: è difficile a vent'anni per il calcetto del venerdì sera, figuriamoci quando eravamo piccoli e fragili.
    I due capitani di solito erano i più grandi o i più "famosi" nella zona, o in alternativa il proprietario del pallone. Sempre per le leggi non scritte che prosperano ancora oggi nelle periferie italiane la scelta dei componenti del team è sempre stata effettuata secondo parametri studiati a tavolino:
    - La forza del giocatore;
    - L'amicizia che ti lega al giocatore che scegli;
    - L'ora in cui la possibile scelta dovrebbe lasciare il campetto;
    Alla fine rimane sempre il povero "scarso", e alla domanda "Palla o lo scarso?" il capitano risponde sempre con la prima opzione.

    #10. La traversa immaginaria era alta quanto il ragazzo che stava in porta
    Altro che la Gol Line Tecnology, i programmi incentrati sugli scandali arbitrali, i gol-no-gol e le accese discussioni sui social: il calcio di strada era molto più semplice.
    In strada non c'erano inutili battibecchi anche perché i legni delle porte non esistevano.
    Infatti la traversa era calcolata secondo l'altezza del portiere. Solo dopo avergli fatto alzare le braccia e misurata visivamente la traversa il match poteva iniziare.
    E di polemiche nemmeno l'ombra: al momento del gol non si faceva altro che correre più velocemente possibile a "metà campo" per battere e tentare di recuperare il risultato. Bei tempi.

    #9. Si Tornava a casa con le ginocchia sbucciate
    La strada o i campetti in cemento non erano proprio i terreni che ogni ragazzo sognava di calcare.
    Ma questo passava il convento e ci si doveva accontentare.
    Si dava anima e cuore per portare a casa la vittoria. Si era talmente in trance agonistica che, non curanti delle conseguenze, si entrava in scivolata sull'asfalto rovente sbucciandosi ogni cosa che non era coperta da qualche vestito.
    Passata l'adrenalina, si arrivava a casa con la lacrimuccia e le ginocchia sanguinanti.
    Ogni madre che si rispetti, oltre a dare un paio di mazzate, versava senza pietà 12 litri di acqua ossigenata sulla bruciatura. Anche se non si invocavano ancora i Santi ma si mormorava solo qualche strano verso di dolore, la medicazione alle sbucciature sulle ginocchia è stata la prima tappa verso la blasfemia per molti ragazzi.

    #8. Si tornava a casa con i vestiti sporchi o strappati
    Quante tute, magliette e pantaloncini abbiamo strappato e bucato giocando per strada?
    Probabilmente potremmo fornire completini a mezza serie A.
    Le mamme compravano al mercato forniture a vita di toppe, sicure di fare l'investimento giusto.
    A scuola si girava con la tuta grigia e le intonatissime toppe di Pluto, Hitler e quelle cafonissime delle Tartarughe Ninja.
    Quando i vestiti non si bucavano, si girava con la macchia di erba stampata a caldo che, secondo studi approfonditi, si poteva rimuovere solo dando fuoco all'indumento interessato.

    #7. C'era sempre il coraggioso che recuperava il pallone ovunque
    Se nel gruppo non c'era l'Indiana Jones di turno che recuperava palloni ovunque ce l'avevi nel culo.
    Ogni volta che lo scarso tirava in qualche casa con la recinzione e filo spinato veniva incitato a schiaffi in faccia a recuperare il pallone, dopo essersi preso la sua dose d'insulti.
    Ma era lì che arrivava il coraggioso con la sua frase solenne: " Vado io, dai".
    Per prendere il pallone si bucava i pantaloni con la ringhiera e a ogni passaggio sullo spunciotto rischiava fertilità e verginità anale. Ma era l'idolo delle folle e delle ragazzine presenti alla partita e nessuno poteva fermarlo.
    Era il primo che si buttava con le gambe sotto le macchine per recuperare il Tango di turno. Il lato positivo è che, dopo anni di questa pratica pericolosa, conosceva tutti i modelli di radiatori di ogni singola macchina.

    #6.Era fallo solo se si vedeva del sangue
    Il calcio di strada è sempre stato un gioco molto duro, bisognava essere sempre impeccabili dal punto di vista fisico, mentale e atletico. Sennò si finiva sopraffatto dagli avversari.
    La non presenza di arbitri e direttori di gara ha accentuato ancora di più la crudeltà di questo sport. Un fallo non si "fischiava" fino a quando il ragazzino non perdeva almeno due litri di sangue, si fratturava qualche arto o finiva la sua corsa in ambulanza. Nonostante le lacrime della vittima e le urla di qualche mamma presente alla partita, il gioco non si poteva assolutamente fermare.
    Vista da spettatore non pagante la partita era facilmente fraintendibile con una Royal Rumble- Raw vs Smackdown.

    #5. "Non vale tirare forte", regola mai rispettata
    Dopo essersi ficcato in mezzo ai pali la vittima s'inventava la regola sperando di salvare i denti da latte:
    "Si però da vicino non tirate forte", ed è proprio dopo quella frase che gli avversari tiravano delle sassate degne del miglior Roberto Carlos.
    Anche a due metri dalla porta si ficcava una "bomba" tale che, se qualcuno avesse interrotto la sua traiettoria, si sarebbe risvegliato in un letto bianco d'ospedale con la flebo attaccata al braccio.
    Quelle poche volte che il portiere riusciva a parare un tiro, prima abbozzava lacrime di dolore agitando i polsi appena slogati e poi se ne andava a casa ricordandosi che doveva fare i compiti per il giorno dopo.
    Anche se era Luglio inoltrato.

    #4. Gol o rigore?
    Essere o non essere? Che faccia ha Adam Kadmon? De Ceglie è peggio a sinistra o a destra?
    Sono tutte domande plausibili, ma nessun dibattito è più acceso del Gol o Rigore, situazione che capita almeno una decina di volte nel corso di un pomeriggio in un campetto che si rispetti.
    Le nonne spettelogano su chi sarà la prossima a morire e, viste anche le due diottrie in cinque, non possono dare una mano sulla questione.
    Dato che i legni delle porte sono alti più o meno 30 cm, due tiri su tre non si capsce se la palla sia entrata o meno. Spesso si opta per il rigore, anche perchè ammettere di aver subito l'ennesimo gol è difficile da digerire.

    #3. Si usavano gli zaini o qualunque cosa di vistoso come pali delle porte
    Appena suonata la campanella si correva a casa per far vedere ai genitori che si era ancora vivi e poi velocissimi al solito parchetto. Si buttavano zaini o qualunque cosa di vistoso che potesse dare la sensazione visiva di due pali in cui ficcare il pallone.
    Importava talmente tanto della scuola che si schiaffava lo zaino per terra anche dopo un mese di pioggia ininterrotta. C'era sempre il problema della moviola: essendo così grandi gli zaini aumentavano il rischio di non sapere se era "gol o palo" di circa il 500%. Si risolveva sempre con qualche amichevole testata sul naso.

    #2. Il più piccolo di età o il più grasso andava in porta
    Era la legge più dura del calcio di strada.
    Nonostante il talento del piccoletto fosse maggiore di molti compagni di squadra, l'anagrafe parlava chiaro.
    Appena fatte le squadre si piazzava in porta senza batter ciglio, e anche se alcuni non sapevano riconoscere la destra e la sinistra senza l'ausilio di amici e parenti in mezzo ai pali ci finiva sempre il più giovane o quello in sovrappeso.
    Partiva sempre con un arrogante, quanto speranzoso: "Ogni gol si cambia", ma in cuor suo sapeva che da quella porta casareccia non usciva più ed era costretto a prendersi le bombe che i ragazzi più grandi tiravano.
    Questo era il destino fino a quando non arrivava uno più piccolo o più grosso; a quel punto il testimone del portiere passava allo sfortunato ragazzetto.

    #1. Quando il proprietario del pallone doveva andare via si finiva la partita
    Purtroppo anche le cose più belle hanno una fine.
    Per le partite in strada, il triplice fischio era un sobrio:
    "Cirooooooo, torna a casa che è pronta la peperonata" di una madre arrabbiata che incitava il proprietario del pallone a tornare nella propria dimora.
    Con il numero altissimo di partecipanti alla sessione pomeridiana di calcio c'era però la possibilità di avere due o più palloni: naturalmente si usava quello più bello e man mano che i proprietari se ne andavano si finiva a giocare con il molestissimo Super Tele.
    E alla fine si tornava a casa sudati marci, con le gambe distrutte ma infinitamente felici, e non si vedeva l'ora di arrivare al pomeriggio del giorno dopo per rigiocare tutti insieme. QUESTO ERA IL CALCIO DI STRADA

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