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  • Meroni e Maradona, i grandi lutti trasmettono forti vibrazioni: i 4 gol del Napoli come quelli del Toro alla Juve

    Meroni e Maradona, i grandi lutti trasmettono forti vibrazioni: i 4 gol del Napoli come quelli del Toro alla Juve

    • Gian Paolo Ormezzano
      Gian Paolo Ormezzano
    Mica tanti se lo sono ricordato per fare un raffronto, un parallelo, un confronto, insomma una rievocazione più o meno intrisa di sospiri e lacrime: si tratta di roba (sentimentale, poi: aiuto) di oltre mezzo secolo fa, 53 anni per la precisione. Quel giorno, il 22 ottobre 1967, a Torino si visse allo stadio comunale quello che hanno vissuto specialissimanente l’altro giorno i tifosi del Napoli, pochi happy fews allo stadio San Paolo ora stadio Maradona, gli altri soltanto via televisione. 

    Quel giorno dell’ormai preistorico 1967 il Torino scese in campo nel derby a sei giorni e mezzo dalla scomparsa, per un tragico e intanto banale incidente stradale, del suo calciatore più forte ed anche più strano e buono, Gigi Meroni anche se non sopratutto pittore, e vinse contro la Juventus per 4 gol a 0, lo stesso punteggio con cui domenica il Napoli ha sconfitto la Roma, in  una partita che dei derby stracittadini ha, e spesso purtroppo, i sapori, gli umori, i clangori ed anche i tremori, gli errori, gli orrori…

    Il calcio dello show-business algido e straricco di adesso riesce ad offrirsi e ad offrirci questo ricorso, da coltivare anche se piangendo. Il Torino di quel campionato era forte di Meroni e di altri bravi, e avrebbe finito il torneo, vinto dal Milan, al sesto posto, davanti alla Juventus. Ma quel derby sembrava segnato (ed assegnato pro Juve) a priori dalla dolenzia d’animo e di cuore dei giocatori granata, distrutti dalla morte di quello di loro che più, nella squadra, era amato e intanto ammirato. Si arrivava addirittura a pensare la vigilia che quelli della Juventus non avrebbero neanche troppo approfittato della debolezza dei loro avversari stremati dal dolore, dal lungo pianto, ed anche oberati psicologicamente dal pensiero che il Toro dopo l’apogeo tragico di Superga sempre sarebbe stato esca e bersaglio della sfortuna in vari modi vestita anzi pervestita (lessico di Camila Cederna, per le vamp). Invece dopo soltanto tre minuti era il gol del Toro, anzi di Nestor Combin, un attaccante argentino che era arrivato in Italia per la Juventus, era passato al Milan, era pervenuto infine alla maglia granata, e che di Meroni era diventato subito non solo amico devoto, ma adoratore totale. Al funerale di Meroni giornalisti illustri si erano soffermati nei loro articoli sul dolore speciale -  inferto alla vista, anche – di Combin, uno strazio, uno straccio.

    Combin in gol anche al 7’, sbacalito Colombo portiere bianconero ed ex del Toro, quasi silenti, per diverse opposte ragioni le due tifoserie, ipnotizzata una e l’altra da una sorpresa bifida. Di Combin anche il terzo gol, al quarto d’ora del secondo tempo. E il quarto e ultimo gol di Carelli, una scatenatissima riserva, sceso in campo proprio con la maglia numero 7, quella di Gigi.
     
    Faccia ognuno di chi legge il paragone (o tracci il parallelo) con quanto è accaduto in Napoli-Roma. Tutta diversa la sceneggiatura dalla tristezza, diverse le profondità sentimentali, diversissimo il contesto in cui esse si sono esplicate. Appare  comunque forte e chiara la singolarità del duplice evento, la possibilità anche di fondere le due vicende, le due tragedie, ancorché l’ultima di risonanza assai maggiore, e nel mondo tutto, anche quello extrapallonaro. Chi c’era (come chi scrive queste righe) ricorda quel 4 a 0 del Torino sulla Juventus come uno straordinario passaggio sentimentale, e magari per sua personale anagrafe “lunga” può farsi, ma dentro, un accostamento speciale che comunque non deve abbrutirsi in gara, graduatoria,classifica.

    P.S.: chi scrive queste righe tiene comunque a ricordare che lui, tifoso conclamato del Toro intanto che ricco di amicizie grandi juventine, riconosciuto giornalista imparziale in un mestiere che questo chiede ed è giusto così, per la verità non fatica neanche per un attimo a collocare i due eventi uno di fianco all’altro, uno sopra o sotto all’altro. Questo per la semplice ragione che la sua partita dei sentimenti massimi è quella del 17 marzo 1957, sempre un derby, il Torino con un attacco di vecchi dinosoauri reduci da squadre grosse assai (Armano un gol, Arce, Jeppson due gol, Ricagni, Tacchi un gol: due sudamericani due italiani uno svedese) sconfisse 4 a 1 la Juventus di Boniperti e Del Sol e Hamrin e Antoniotti (gol in exrtemis di Montico su rigore). Il ventiduenne che ero io piangeva e piangeva, ancorché fosse già adepto diquel giornalismo imparziale, pensava a suo padre che era morto pochi giorni prima e che lo aveva portato “contrattualmente” a vedere tutte le partite giocate dal Grande Torino al Filadelfia nel dopoguerra (mai una sconfitta, in cambio di nessuna assenza a scuola), impegno che il ragazzo prese e onorò nel nome del tifo che è, massì, amore e vita).
     

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