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  • IL CASO. Mourinho, dall'Inter al Real Madrid: disastro totale

    IL CASO. Mourinho, dall'Inter al Real Madrid: disastro totale

    di Xavier Jacobelli

    Stavolta Mourinho ha passato il segno. Non ha alibi. Non ha attenuanti. Non ha scuse. Le parole sono pietre e il tecnico del Real rischia di rimanere seppellito da quel Por que?, ripetuto una, dieci, cinquanta volte per sostenere la tesi secondo la quale Guardiola vince la Champions solo grazie agli arbitri e all'Uefa; il Barça è la centrale di un potere forte corroborato dall'Unicef (bum!); il calcio fa schifo e non è degno di Mourinho.

    C'è un limite a tutto, anche alla decenza di un allenatore che dovrebbe solo bearsi dei trofei conquistati sul campo a Oporto, a Londra, a Milano, in Spagna dove ha appena riportato a Madrid la Coppa del Re inseguita per 18 anni dal suo club. Ma l'arroganza di Josè non ha limiti, come la sua incapacità di perdere quando l'avversario gioca meglio e merita la vittoria. Quando Josè vince con l'Inter scappa al Real la sera stessa di un trionfo inseguito per 45 anni e male, malissimo ha fatto Moratti a lasciarlo fuggire, spianandogli la strada. Quando è al Real, Josè non sa perdere e vomita veleno.

    Se Mourinho crede di gabellare la sconfitta del 28 aprile con il Barça come figlia dell'arbitraggio di Stark, pensa che siamo tutti scemi. Lui che per 73 minuti su 90, come un miliardo di spettatori in tv, ha visto il Real dominato dal Barcellona; lui che ha tenuto in panchina Kakà, Benzema e Higuain; che ha messo un difensore in più a centrocampo perchè se l'è fatta sotto; lui che ha adottato un inverecondo catenaccio a danno di Cristiano Ronaldo, uno fra i più forti attaccanti del mondo, stritolato nella morsa della difesa blaugrana e così imbelvito che oggi a Madrid si dice pensi addirittura di andarsene; lui che dimentica gli errori arbitrali l'anno scorso favorevoli all'Inter lungo il cammino della Champions, poi comunque conquistata con merito; lui che fa finta di scordare come il Real Madrid, storicamente sia sempre stato coccolato, vezzeggiato, favorito dagli arbitri, per via del suo smisurato peso politico a livello Uefa.

    E, per favore, lasci stare l'Unicef, un'organizzazione troppo seria per essere tirata ridicolmente in ballo dal signore di Setubal che ha sbroccato ed è auspicabile venga stangato senza pietà dalla giustizia sportiva dell'Uefa.

    Impari, Mourinho, dal 76% dei tifosi del Real secondo i quali, rispondendo al sondaggio lanciato da Marca, giornale vicinissimo alla Casa Blanca,  Pepe doveva essere espulso per il suo intervento su Dani Alves, anche se le immagini tv hanno mostrato che non c'è stato contatto, ma quell'entrata era comunque pesantemente scorretta.

    Ascolti, Mourinho, le parole di Alfredo Di Stefano, 84 anni, secondo Pelè "il miglior giocatore di tutti i tempi", presidente onorario e simbolo assoluto del Real con il quale ha vinto 8 scudetti, 5 Coppe dei Campioni, 1 Coppa Intercontinentale e 2 Palloni d'Oro. "Il Barcellona pratica un gioco molto più brillante del Real". Dieci parole per liquidare il difensivisimo, l'utilitarismo, il non calcio del portoghese che, prima di rivedere il Barcellona, ha riposto piccato: "L'allenatore sono io". S'è visto.

    Rispetti, Mourinho, la grandezza di Lionel Messi che al Bernabeu l'ha fulminato con due gol di memorabile bellezza. I bambini la guardano, Mourinho. Se ci riesce, abbassi gli occhi e sparisca. Almeno per un po'.

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