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Non consegniamo il calcio italiano in mano ai nuovi padroni del mondo

Non consegniamo il calcio italiano in mano ai nuovi padroni del mondo

  • Marco Bernardini
    Marco Bernardini
Il presidente della Federcalcio, Gravina, ha detto chiaro e tondo che lui si opporrà con fermezza all’ipotesi sulla possibilità di far giocare una partita del campionato italiano, verosimilmente nel quadro della prima giornata, nello stadio di Pechino. Non possiamo che essere solidali, ideologicamente, con il capo del nostro palazzo calcistico anche se temiamo fortemente che il rischio di snaturare una volta di più quello che rappresenta una fra patrimoni più preziosi del nostro Paese non sia poi così fantascientifico. Del resto un “classico” dello sport nazionale come il ciclismo, con il “Giro d’Italia” inaugurato in Irlanda piuttosto che in Israele, ha già dimostrato che a fronte del denaro anche l’impensabile diventa possibile.
 
Di certo vi è che proprio in queste ore si stanno mettendo le basi per una cooperazione tra Italia e Cina che sta andando ben oltre i limiti solitamente definiti da quelle che si chiamano intese di scambio commerciale e rapporti di buon vicinato. La visita del presidente e segretario del Partito Comunista Xi Jinping a Roma non può essere etichettata certamente come un evento diplomatico e formale. Ricevuto, insieme con la sua elegantissima consorte, con gli onori un tempo riservati agli imperatori e addirittura scortato per le vie della capitale da una guardia di corazzieri a cavallo, il leader maximo d’oriente ha indubbiamente fatto sentire il suo “peso” di uomo politico tra i più potenti del mondo. L’unico a rapportarsi a lui e al suo seguito con equilibrio e giusta dignità nazionale è stato il presidente Mattarella il quale, giustamente, ha evitato ogni tipo di atteggiamento sussiegoso o servile. Ciò che non è riuscito fare ai nostri politici, imprenditori, rappresentanti della cultura e anche dello sport verosimilmente proni davanti al nuovo padrone planetario piuttosto che ad un partner sicuramente speciale ma, almeno per il momento, non ancora assimilabile al concetto di colonizzatore.
 
Ora, al di là di quella che potrebbe essere o che sarà il futuro politico e commerciale dell’Italia ormai lanciata lungo la via della seta come un contemporaneo Marco Polo alla corte del Gran Kan, prendiamo in esame il nostro piccolo orticello calcistico e cerchiamo di capire il senso delle parole di Gravina alla luce di ciò che potrebbe significare per l’intero movimento italiano una partnership con la Cina a livelli vincolanti non solo sotto il profilo dell’immagine. Il presidente Xi Jinpimg non ha mai nascosto di ritenere elemento fondamentale per la crescita del suo immenso Paese il gioco del pallone con annessi e connessi. Un’idea di crescita maturata subito dopo la sua elezione sei anni fa quando la nazionale cinese prese una scoppola solenne in casa dalla piccola Thailandia. Da quel momento il leader asiatico, anche per ragioni di orgoglio personale, volle dedicarsi alla costruzione di un apparato sportivo in grado di proporsi agli occhi del mondo in sintonia con La grandezza emergente in tutti gli altri settori del suo Paese. Il famoso sogno cinese, poi ribattezzato “resurrezione”, doveva passare anche per il calcio.
 
La storia secolare insegna che i cinesi non badano troppo all’immagine ma quasi esclusivamente alla sostanza. E se non riescono a produrre in casa ciò a cui ambiscono se lo vanno a prendere dove si trova. Non a caso l’Africa centrale con tutte le sue ricchezze sotterranee è completamente nelle mani di Pechino. Lo stesso stanno facendo con il calcio europeo. Spagna, Inghilterra e Italia. Soprattutto Italia, (vedi Inter, in parte il Parma, in passato il Milan), ritenuto il Paese più facile da abbordare e possibilmente “colonizzare” per farne un volano in grado di condurre la Cina a organizzare il Mondiale del 2026. Già vengono prefigurati, oggi, scenari che offrono l’immagine dell’Italia come palestra per centinaia di migliaia di ragazzini impegnati a imparare il “nuovo mestiere” prima di rientrare in patria. Ed è quindi naturale, ma non normale, che per arrivare a creare un’azienda calcio cinese da export Pechino tenti di entrare direttamente nel tessuto dell’ospite per farlo, alla fine, completamente suo. E l’inizio di questa invasione potrebbe essere rappresentato proprio da una partita di campionato italiano giocata in Cina.

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