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  • Pallavicino, 30 anni di segreti: 'Rui Costa e la furia di Cragnotti. Marchisio, che delusione! Ronaldo scelse l'Inter con i viados sotto casa'

    Pallavicino, 30 anni di segreti: 'Rui Costa e la furia di Cragnotti. Marchisio, che delusione! Ronaldo scelse l'Inter con i viados sotto casa'

    • Pasquale Guarro
    Da anni mi interrogo sulla sua vera natura e mi struggo per non esserne ancora venuto a capo. L’anima di Carlo Pallavicino è una camera di specchi esposta ad est, rimbalza il sole in ogni direzione e ti disorienta.  Malinconico, ipocondriaco, a volte afflitto. Ma anche spassoso, brillante, di sicuro emotivo. Carlo Pallavicino è mosso esclusivamente dalla passione che lo consuma, ma che allo stesso tempo lo riattizza. 

    - “Signor Pallavicino, voglio farle un’intervista“. 

    - “Mi prende in un momento particolare, questa volta le dico di si. Ma solo se me la fa in diretta su Instagram”. 

    - “Non sono bravo in queste cose, preferirei un’intervista tradizionale…”. 

    “No, solo su Instagram. Venerdì alle 18.”. 

    Ovviamente alle 18 ero solo come un cane, disperato perché gli utenti iniziavano a collegarsi e Pallavicino non riusciva ad accedere. Improvvisamente appare: “Scusa ma ho dovuto chiedere a mia figlia perché non riuscivo ad entrare nonostante le sue istruzioni.C'è stato qualche passaggio a vuoto”. 

    Benvenuto Carlo, vorrei raccontare la sua storia ai più giovani. È quello che con Branchini ha portato in Italia Ronaldo, Careca, Rui Costa. Ha concluso trattative indimenticabili e prima faceva il giornalista, come ha fatto?
    “Una serie di situazioni fortuite. Avevo 24 anni e attraverso un amico in comune conobbi Giovanni Branchini. Ci ritrovammo a lanciare insieme la Branchini Associati che soprattutto per merito suo, grande manager che arrivava dal pugilato, ha avuto e ha tuttora grande fortuna. Era un momento di grande cambiamento per il mondo del pallone, i calciatori ebbero improvvisamente bisogno di un agente per trattare i loro contratti che, fino a poco tempo prima, li tenevano legati a vita ai club. La famosa legge 91 che entrò in vigore negli anni 80 e cambiò tutto consentendo lo svincolo dei calciatori a fine contratto. Si aprì un mondo e io giornalista sportivo fin da ragazzino mi ci infilai come in un luna park. Eravamo in quaranta in tutta Italia, niente i cellulari figuriamoci internet, cose che oggi sembrano indispensabili, eppure il mercato si faceva lo stesso”. 

    Qualche trattativa è stata sul punto di saltare proprio per l’assenza di dispositivi oggi indispensabili?
    “Ricordo quella di Rui Costa al Milan, anche se in realtà,  seppur diversi da quelli di oggi, i cellulari già esistevano. Era con noi dai tempi del Benfica. Ho avuto la fortuna, io tifoso viola, di stargli accanto a Firenze durante tutta l’epopea di Batistuta, che divenne suo grande amico. Il trasferimento al Milan mi fece quindi un grande effetto. La Fiorentina quell’anno era di fronte alla possibilità di fallire e aveva l'obbligo di vendere Rui Costa e Toldo. Per il portoghese chiedevano 80 miliardi di lire. Col figlio di Tanzi e Branchini prendemmo insieme un aereo, viaggiammo con un volo privato verso Faro per convincere Rui ad accettare il Parma. Erano pronti a dargli una cifra incredibile, 10 miliardi di lire di ingaggio. Tentarono in tutte le maniere di prenderlo, sembrava fatta, ma il ragazzo aveva in testa il Milan perché l'allenatore della Fiorentina, Terim, aveva firmato per i rossoneri e con lui a Firenze si era trovato benissimo. Peccato che il Milan non fosse del tutto convinto perché ai tempi Berlusconi era presidente del consiglio e riteneva impopolare spendere 80 miliardi per un giocatore. Così per Rui Costa si aprì solo un’altra prospettiva rispetto al Parma, era quella della Lazio. Prenotai un treno alle 5.30 del mattino per arrivare a Roma in tempo dove mi aspettava Cragnotti alla Cirio per concretizzare nero su bianco il trasferimento di Rui Costa alla Lazio. Andai a letto molto presto, staccai il cellulare e il giorno dopo lo riaccesi in treno solo a pochi chilometri da Roma, ero a Orvieto. Fu così che mi ritrovai 40 messaggi in segreteria, tutti di Rui Costa e Branchini che mi chiamavano per dirmi che nella notte Galliani era riuscito a convincere in extremis Berlusconi a tirare fuori i soldi. Da un lato ero contento per Rui Costa, ma dall’altro ero abbastanza disperato per la sorte che mi attendeva perché stavo per arrivare alla Cirio da Cragnotti a dargli una pessima notizia. Invece che dirgli, «Eccoci qua, compiliamo il contratto e nel pomeriggio arriverà il calciatore dal Portogallo», dovevo dirgli «Eccomi qua, Rui Costa ha accettato di andare al Milan». Certo, una trattativa che rese tutti felici, ma in quell’istante mi trovai in una situazione che un procuratore non sogna di vivere. Non la presero benissimo alla Lazio“. 

    Come un tradimento. Immagino che qualche volta anche lei si è sentito tradito…
    “All’epoca il rapporto con i calciatori era vissuto non dico come un fidanzamento ma quasi. Li prendevi da ragazzini e li portavi a fine carriera. Ma volte i fidanzamenti possono anche concludersi in maniera cruenta. Adesso che sono passati 25 anni mi fa anche una certa tenerezza ricordare la sofferenza che provai quando Benito Carbone mi lasciò. Lo presi nelle giovanili del Torino, un piccolo fuoriclasse. Stavamo costruendo insieme un bel percorso, immedesimazione totale con la sua carriera, Reggina, Casertana, Under 21, Torino, infine Napoli, dove era andato via Zola e lui si apprestava a diventare il nuovo numero 10. Li accadde una cosa clamorosa: comprò una macchina e prima ancora di fare l’assicurazione gliela rubarono. Arrivò negli spogliatoi a Soccavo disperato e lì trovò Cannavaro e Taglialatela che gli dissero di calmarsi e che avrebbero provato a sentire il loro procuratore, napoletano, che avrebbe provato a dargli una mano. In effetti l’auto fu ritrovata ma il pegno fu che dovette cambiare agente. Praticamente mi svendette per una macchina. La presi malissimo, non avevo ancora 30 anni, ero un ragazzo ingenuo e non gli parlai per tanto tempo. Lui poi capì di aver fatto una cosa non troppo elegante e tornò col nostro gruppo, da quel momento in poi lo seguì Branchini e ebbe una bellissima carriera andando all’Inter e poi anche in Inghilterra”. 

    Le va di fare un gioco? Le dico 6 aggettivi che lei deve associare ad altrettanti calciatori avuti in carriera.
    “Va bene”

    Generoso. 
    “Sebastiao Lazaroni è veramente la persona in assoluto cui sono più legato nella storia del calcio. Un fratello maggiore, al pari di Giovanni, o quasi”. 

    Presuntuoso
    “Ci sono stati del presuntuosi sani nella vita. Una presunzione sana l’ha sempre avuta Paulo Sousa. Ma forse Seedorf in assoluto, anche se l’ho conosciuto meno degli altri perché lo seguiva in toto Branchini, lo respiravo. Si direi Seedorf”. 

    Tirchio
    “Ci sarebbe da scrivere un libro. Sono tutti tirchi e vanno capiti perché spesso vengono da un’infanzia sofferta. Magari sputtanano i soldi in investimenti assurdi. Poi però se c’è da andare al ristorante, Dio ci liberi. Ecco, un calciatore che non è stato mio ma che faceva storicamente un po’ fatica a pagare poteva essere Batistuta. Diciamo che al momento di pagare la pizza Rui era più lesto”. 

    Permaloso
    “Una persona cui ho voluto un gran bene, Eugenio Corini. Un altro calciatore preso da ragazzo, al Brescia, e che poi portammo alla Juventus, alla Samp, al Napoli, al Piacenza. Un carattere speciale, sensibilissimo. Però era un po’ permaloso, nel senso che si offendeva facilmente.Con noi ce l’aveva un po’ perché contavamo in procura anche Albertini. Lui sosteneva non si potessero avere due calciatori nello stesso ruolo. È sempre stata una cosa di Eugenio, cui voglio veramente un bene incredibile, molto bizzarra e mi ha sempre colpito perché noi, in fondo, abbiamo sempre dato il 100% a tutti, al di là del ruolo”.

    Opportunista.
    “Spiace dirlo, ma Claudio Marchisio con me si è comportato malissimo. L’ho preso quando era nelle giovanili della Juventus e l’ho accompagnato durante l’intero percorso di crescita, fino a fargli firmare due rinnovi milionari. Giunti al terzo, col contratto praticamente pronto e dopo aver litigato a più riprese con Marotta per garantirgli l’ingaggio migliore possibile, mi chiama e mi liquida con una telefonata. Senza alcun motivo. Si limitò a dirmi che da quel momento in avanti lo avrebbe seguito suo padre”.

    Concludiamo con telentuoso. 
    “Ovviamente il Fenomeno”. 

    Quali aneddoti conservi sul brasiliano?
    “La firma segreta con l’Inter mentre era al Barcellona. Venne con i blaugrana a giocare la semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe contro la Fiorentina. Quella sera, con Branchini e i suoi agenti brasiliani organizzammo direttamente dagli spogliatoi del Franchi un trasferimento a casa mia sul Lungarno (al mattino dopo avrebbe volato da Peretola per il ritiro del Brasile) in modo che nessuno potesse riconoscerlo.Tre macchine separate (mi dette una mano anche mia moglie) Ronnie nella mia seduto dietro imbacuccato. Arrivammo a casa e iniziammo a cenare proponendo a Ronaldo le tre squadre che lo volevano: l’Inter, la Lazio e il Glasgow Rangers (solo per la Champions). Scelse i nerazzurri, Moratti era scatenato e lo aveva già conosciuto quando giocava al PSV. Facemmo la notte in bianco in casa aspettando l’ora per andare a prendere l’aereo. Tutto perfetto, fino a quel momento. All'alba usciamo di casa e ci troviamo davanti al portone alcuni viados brasiliani che frequentavano la zona. A quel punto accadde il pandemonio, iniziarono ad urlare il nome di Ronaldo e noi ci infilammo frettolosamente in auto per scappare. Menomale che i viados non avvertirono i giornalisti, ma tutta la macchinazione rischiò di saltare incredibilmente all’ultimo”. 

    Come saltò anche Mazzarri alla Lazio. 
    “Anche qui è trascorso del tempo e si può raccontare. Lui voleva lasciare la Samp e gli piaceva da pazzi l’idea di allenare la Lazio. Organizzai un incontro a Roma nella casa di un dirigente della Lazio, amico di Lotito. Doveva essere segretissimo. Già l’idea di trovarci a Roma preoccupava Mazzarri. Il problema fu poi che il tutto avvenne in una zona centralissima, vicino a Piazza Mazzini, dove una volta c'era la Rai. La cosa fu clamorosa perché Lotito si presentò come sempre con tre ore di ritardo, ma anche perché era previsto che un suo autista ci prelevasse a Roma Nord per fare un percorso semi nascosto e lasciarci direttamente nel portone di casa. Invece partì tutto male, l’autista ci parcheggiò a 1 km da questa casa che dovemmo raggiungere a piedi in mezzo alla gente che lo riconosceva e lo salutava. A Mazzarri si gonfiò il collo dalla tensione. Arrivati, aspettammo veramente tre ore Lotito. La situazione era diventata esplosiva, Mazzarri iniziò ad agitarsi, temeva non arrivasse e un po’ caricava di tensione anche me. Così quando arrivò Lotito io mi scagliai contro di lui e gliene dissi di tutti i colori. Lui senza fare una piega si rigirò allibito iniziando a urlarmi di tutto. Mazzarri a quel punto non sapendo che fare si rinchiuse in un minuscolo terrazzino, imbarazzatissimo anche lui. Non aveva ancora neanche stretto la mano a Lotito che già era scoppiato il finimondo. Poi ci mettemmo a tavolino e parlammo due ore. Mazzarri provò a convincere Lotito a prenderlo: vinciamo lo scudetto, mi creda. Ma quando le cose iniziano male difficilmente vanno in porto. E così fu”.

    Siamo arrivati al termine, grazie per averci raccontato tutti questi aneddoti nell’esclusiva intervista su Instagram, come voleva lei. 
    “Si, la ringrazio, Instagram mi piace quasi come a Wanda Nara. A proposito, ma come fanno i calciatori di oggi a lasciare che le mogli si postino mezze nude e si mettano pure a fare le agenti?”.

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