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  • Pernambuco: Juve, ma sì coraggio, viva il catenaccio!

    Pernambuco: Juve, ma sì coraggio, viva il catenaccio!

    Vista l’impresa Juve contro il Dortmund, dopo tanto clamore e tanta giusta festa (sintomo d’un digiuno collettivo europeo esasperante) conviene esercitare, in ordine alfabetico, un po’ di quell’ arte  del contrappunto, che fece grande la musica barocca.

    A.Come Allegri. A un certo punto, dopo l’ 1 a 0 di Tevez, Allegri era preoccupato e contento al tempo stesso. A modo suo, con un mezzo sorriso sulle labbra e un po’ d’ombra negli occhi. Lui è così: mai drammatico, mai netto, mai manicheo. Un uomo di sfumature, d’ironie metafisiche alla Buster Keaton, d’incertezze decise. A un certo punto, il suo labiale ha detto: “Si abbassano troppo”. E Landucci: “Già”. E Allegri: “Diciamoglielo”. E Landucci: “Gia’”. In questo intermezzo beckettiano s’ è consumato un lampo d’incertezza. La storia è irrotta nell’ interludio della panchina bianconera, sotto forma delle lacrime di Pogba, tornato ragazzo che conosce il dolore del corpo e dell’ uscita di scena. Ma è entrato Barzagli.

    B.Come Barzagli. Avrà fatto bene, sarà stato incerto, sarà stato perfetto: non conta. Da quando è tornato Barzagli è come se un alone di certezza si fosse riversato sull’intera difesa. C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico. Il calcio evidentemente non è solo muscoli, tecnica,  azzardo o ragione. A Palermo come a Dortumund, dietro è tornata la sicurezza di una saggezza consumata.

    C.Come Catenaccio. E’ la solita storia, ci risiamo, tirano sempre fuori il catenaccio. Ma il catenaccio, di cui Zeman (tanto per parlare d’un garibaldino immaturo) avrebbe almeno dovuto assaggiare il sapore, non è mai morto. Grazie a lui abbiamo vinto campionati mondiali, grazie a lui siamo stati in partita contro squadre superiori. Ieri sera è risorto in una sua versione postmoderna, dinamica e corta, senza palla in tribuna. Variato, come tutto ciò che scorre, come il tempo che passa, ma quello è stato. Chissà cosa sono i muri di 8 giocatori e certi mirabili disimpegni orizzontali a 20 metri dalla propria area, se non un bel Catenaccio ossigenato dal palleggio? E i contropiedi, contrabbandati da ripartenze?

    M.Come Marchisio. Imprescindibile. Il centrocampista più duttile sulla scena. Un solo passaggio sbagliato. Un fallo. Slalom. Sradicamenti. Pulizia, agilità, potenza, rapidità. Un lancio breve, delizioso, verso il goal.

    M.Come Morata. O fa goal difficili, o li fa facili. La mezza misura, sotto porta solo davanti al portiere, non fa ancora per lui. Ma il passo breve e repentino è quello di Cristiano Ronaldo, il gioco senza palla sublime.

    P.Come Pogba. I dolori del giovane Werther in terra di Germania. La sorte lo segna e lui reagisce con sentimento alle fitte. In panchina torna il ragazzo che è: un po’ sperduto, stupito ed affranto. Orfano, il centrocampo a 5, poi copre la mancanza d’un ragazzo prodigioso.
    T. Come Tevez. Sacchi afferma che non ha controindicazioni: come dire assoluto. Pochi anni fa al Manchester City (allenatore Mancini) uomo problematico di cui non fidarsi.

    Fuori ordine alfabetico.
    K.  Come Klopp. Sconfitto, ma non vinto. Il sorriso finale, le strette di mano occhi negli occhi , a tutti i giocatori della Juve, le dichiarazioni di assoluta superiorità dell’ avversario fanno di lui un vincitore. Dubito che voglia venire in Italia e non solo perché non sa l’italiano. Comunque il suo è un buon inglese.
    T. Come tifosi. A un esempio di passione, di sportività, di lealtà: ai tifosi del Borussia Dortmund, in piedi fino alla fine, ad applaudire dopo. Non come a casa nostra dove si fischia la seconda in classifica dopo una partita coraggiosa, ma sfortunata.

    Fernando Pernambuco

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