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  • Pippo Russo: Caro Valentino, a ciascuno i suoi biscotti

    Pippo Russo: Caro Valentino, a ciascuno i suoi biscotti

    “Rischiamo di diventare come il calcio”. L’abbiamo sentita mille volte questa frase, pronunciata come memento da chi vive dentro altri sport e sente che anche in quell’orticello sta per dissolversi una (presunta) età dell’innocenza. Chi la pigola crede di far parte di un Esercito della Salvezza, di un’Avanguardia dei Consapevoli cui tocca innanzitutto scuotere gli ignavi. E quale modo più efficace che paventare di farsi simili al peggior termine di paragone presente su piazza? Un po’ come usava qualche tempo fa a proposito delle economie nazionali e delle medicine amare da ingurgitare a tutti i costi. Roba resa necessaria dal fatto che “altrimenti rischiamo di fare la fine della Grecia”. Nel mondo dello sport il termine di paragone peggiorativo è il calcio. Dipinto come la sentina di tutti i vizi, il buco nero dentro un panorama altrimenti puro.

    L’ultimo in ordine di tempo a lanciare questo SOS è stato Valentino Rossi. Cui certo si può perdonare un sovraccarico d’emotività, vista la pressione che ha dovuto affrontare nelle ultime due settimane. Ma ciò non significa autorizzarne gli sproloqui. E ieri Valentino, a un certo punto, ha sproloquiato.

    L’ha fatto quando ha detto di aspettarsi fin dalla vigilia che i due rivali spagnoli Jorge Lorenzo e Marc Marquez “facessero il biscottone, come si fa nel calcio”. Parole a vanvera. Perché il calcio ha molti vizi, è vero. Ma pochissimi di questi sono in esclusiva, e fra essi non c’è il “biscottone”, che anzi è prerogativa del calcio come di numerosi altri sport. Compresi quelli motoristici, dove può aver luogo una variante che nel mondo del pallone si verifica raramente: il biscotto per conto terzi. Cioè quello che si realizza non già perché un determinato esito di gara sia favorevole a entrambi i contendenti, ma piuttosto per favorire un contendente terzo e estraneo alla gara senza che al danneggiatore torni un beneficio sportivo. Nel calcio i casi di questo genere sono rarissimi. Qualche anno fa un po’ si rise e un po’ ci s’indignò quando i tifosi della Lazio tifarono a perdere all’Olimpico, in occasione di due gare contro l’Inter, perché ne uscisse danneggiata la Roma. La prima volta l’auspicio dei tifosi non si realizzò, perché in quel 5 maggio del 2002 rimasto nella storia i giocatori biancocelesti fecero il contrario di quanto da loro preteso, e sottrassero lo scudetto ai nerazzurri per consegnarlo alla Juventus. Andò diversamente nel 2010, anno del Triplete interista, quando la curva laziale espose gli striscioni con la scritta “Oh no!” dopo i due gol della vittoria avversaria. Ma questi atteggiamenti non ebbero soverchia influenza sull’impegno dei giocatori laziali né sulla vittoria interista, che visti i rapporti di forza in campo sarebbe arrivata comunque.

    Succedono cose del genere, nel calcio. E succedono anche cose poco etiche ma non esplicitamente vietate. Come per esempio i premi a vincere, che in alcuni paesi vorrebbero regolamentare. Fra questi paesi c’è proprio la Spagna, ciò che renderebbe ulteriori argomenti anti-spagnoli in questo momento di contrapposizione sciovinistico-sportiva fra i due paesi. E per carità, di slealtà in materia sportiva gli spagnoli avrebbero da farsene perdonare parecchie, a partire da una conduzione molto lasca delle politiche antidoping. E però ci si dimentica di quando la nazionale spagnola NON fece il biscotto agli Europei di calcio del 2012, quando avrebbe potuto scegliere di mandare avanti la meno pericolosa Croazia facendo fuori la nazionale azzurra. Invece vinse, e fece giustizia dei piagnistei italioti preventivi. Poi per soprammercato brutalizzò la nazionale azzurra in finale con un 4-0 che segna tuttora lo squilibrio più elevato in una finale di Campionati Europei e Mondiali.

    E in ultimo può succedere, nel calcio, che un contendente giochi soltanto per far perdere l’avversario. Per i motivi che crede: vecchie ruggini o fresche antipatie, pressioni ambientali, o la mera voglia di mettere il proprio timbro su un verdetto sportivo. Ebbene, cosa mai c’è di strano in questo? Fa parte dello sport anche questo. Dare il massimo, sempre, e senza guardare in faccia nessuno.

    Mi pare già di udire l’obiezione: i paragoni appena fatti sono mal posti, impropri, perché ciò che ha fatto Marquez è andato oltre. Lo spagnolo non ha cercato una “vittoria oggettivamente dannosa per l’avversario”, ma piuttosto ha condotto due gare di esclusivo boicottaggio verso un contendente per favorire un altro contendente. Ma proprio qui sta il punto: la non equiparabilità delle due circostanze. Il calcio è uno sport di squadra giocato da due sole parti in campo. Invece il motociclismo, così come tutte le altre discipline sportive praticate con l’utilizzo di un mezzo di locomozione, si basa su gare individuali rispetto alle quali la dimensione della squadra è anomala. Soprattutto, queste gare prevedono la disputa fra più contendenti. E in una struttura agonale come questa possono esserci diversi modi per boicottare o condizionare l’esito finale, rispetto ai quali tendiamo a usare il giudizio a targhe alterne. Non ricordo grandi moti d’indignazione quando dal box Ferrari partiva l’ordine a Rubens Barrichello di lasciar passare avanti sul traguardo Michael Schumacher per ragioni di Classifica Piloti. Fu o no, quello, un risultato falsato? Nel calcio una cosa del genere non può succedere, e non succede nemmeno che un contendente stia lì soltanto a ostruire senza preoccuparsi del risultato finale. La struttura della gara lo rende impossibile.

    E dunque si consiglia a Valentino Rossi, pur nella piena comprensione del suo senso di defraudamento, di correggere il tiro. Perché il calcio di difetti ne ha mille e uno, e passa il tempo a dibattersi fra le sue porcherie. Un po’ per denunciarle, un po’ per alimentarle. Ma che si debba far carico anche delle porcherie specifiche di altri sport, quello no. Ciascuno si tenga i biscottoni suoi, e non cerchi altrove uno specchio deformante per far finta di non vedere le proprie brutture.

    @pippoevai

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