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  • Pippo Russo: perché siamo contro i fondi e le TPO, non contro il Milan

    Pippo Russo: perché siamo contro i fondi e le TPO, non contro il Milan

    È bene mettere in chiaro alcune cose. Chi mi segue su Calciomercato.com sa che la scorsa settimana ho inaugurato una serie di articoli sul Doyen Group e sulla sua controllata Doyen Sport Investments (DSI). La serie ha preso avvio dopo l'ufficializzazione del ruolo che DSI sta svolgendo nella trattativa che per la cessione del Milan. E la coincidenza ha portato molti tifosi-internauti del club rossonero a sostenere che dietro questa serie di articoli vi sia una vena anti-milanista, alimentata sia da me che dalla testata. 

    Cosa rispondere a questa accusa? Mi limito a dire due cose. La prima. Mi occupo di Doyen sin dal giorno in cui fece la prima apparizione nel mondo del calcio, a ottobre 2011. E l'ho fatto scrivendo articoli pubblicati da diverse testate, post nel mio blog "Cercando Oblivia", e soprattutto il libro "Gol di rapina. Il lato oscuro del calcio globale", pubblicato ormai oltre un anno fa. Se in questi giorni ho intensificato il ritmo degli scritti sul fondo d'investimento maltese è perché esso s'appresta a entrare in modo pesante nella proprietà di uno dei club più importanti e gloriosi del mondo, quale il Milan è. Dunque in questo mio insistere su Doyen (e non sul Milan, che fin qui dagli articoli è stato solo sfiorato) c'è un atteggiamento di grande rispetto verso il club rossonero e la sua storia. Ma aggiungo che avrei riservato la medesima attenzione a Doyen nel caso in cui il fondo avesse puntato qualsiasi altro club italiano. 

    Seconda cosa. Mi sento accusare di anti-milanismo, e non è la prima volta. Non è nemmeno la prima volta che mi senta accusare di essere anti-qualcosa. Limitando la casistica a questo primo scorcio di 2015, il bilancio è il seguente. Sono stato accusato di anti-juventinità per questi due articoli sui misteri del calciomercato condotto da Beppe Marotta. Poi sono stato accusato di anti-dorianità per questi due articoli sulle bizzarrie del calciomercato blucerchiato. Poi sono stato accusato di anti-romanismo per questo articolo sugli striscioni esposti all'Olimpico contro la madre di Ciro Esposito. MI sono beccato persino gli strali di un tifoso del Benfica per questo articolo sui rapporti fra il club "encarnado" e Jorge Mendes; in una mail lunghissima e verbosa, il soggetto mi ha accusato di essere un corrotto, insinuando che io sia al soldo del Porto e dello Sporting Lisbona. Leggendario. Ma ancor più leggendaria è stata l'accusa di essere contro il Chievo per questo articolo in cui mettevo in fila tutti gli X File del club veronese. E converrete che bisogni essere davvero dei fenomeni per essere accusati di avercela col Chievo. Cosa che è quasi impossibile per un motivo fondamentale: non si riesce nemmeno a identificare quale sia la parola che designa l'atteggiamento anti-Chievo. Come diamine si dirà? Antichievismo? Anticlivismo? Antichievità? Antichievezza? Roba da convocare l'Accademia della Crusca in seduta plenaria per non rischiare di perderci il sonno. 

    La premessa era necessaria per chiarire che né io né Calciomercato.com siamo contro questo o quel club italiano. Noi siamo contro la deriva che sta portando il calcio (italiano e non) nel gorgo di quel fenomeno che ho definito “economia parallela del calcio globale”. Questa è la ragione che ci induce a batterci contro l’avvento nel calcio di soggetti come Doyen. E lo facciamo non già perché i soggetti come Doyen ci stiano antipatici, ma perché amiamo il calcio. E proprio perché lo amiamo vorremmo che rimanesse un fenomeno innanzitutto sportivo, piuttosto che vederlo trasformare in un gioco di finanza speculativa. Ci battiamo e ci batteremo nell’unico modo che conosciamo e che ci ha fatto guadagnare la stima dei nostri lettori: informando. E continueremo a interpretare la nostra missione informativa andando a cercare i nessi profondi delle cose quando altri preferiscono fermarsi alla superficie, e ponendo degli interrogativi laddove nessuno ritiene vi sia qualcosa da chiedere, e evidenziando le cialtronerie di un ambiente in cui promiscuità e non detti hanno permesso l’edificazione di supposti maghi e geni cui nessuno chiede mai conto di piccole e grandi malefatte. 

    È con questo spirito che combattiamo e combatteremo il fenomeno delle TPO, senza alcun compromesso. Cominciando col rispondere, a chi sostiene che fondi e TPO andrebbero regolamentati per evitarne gli eccessi, che una regolamentazione per questi soggetti c’è già: e ha ripetutamente stabilito che essi sono fuori dalle regole. E una volta ribadito che fondi e TPO sono interdetti dal controllare quote di diritti economici di calciatori, bisogna anche spiegare i motivi per cui essi debbano continuare a rimanere fuori dal calcio. Ecco, punto per punto, i princìpi per cui fondi e TPO sono nocivi. 

    1. No al calcio come incubatore finanziario

    Era inevitabile che, oltre un certo grado di sviluppo del movimento, il calcio si trasformasse in un fenomeno dallo spiccato profilo economico. E anzi, sotto molti aspetti, è stato un bene che ciò sia avvenuto, perché era indispensabile che il fenomeno rituale e agonistico si desse anche una caratura industriale. Ma l’avvento di attori della finanza speculativa – ciò che fondi e TPO sono – porta in tutt’altra direzione, imprimendo una mutazione genetica all’economia politica del calcio. Perché imprimere al movimento una logica industriale significa seguire la strategia di “fare soldi COL calcio”. E per coronare questa strategia bisogna costruire un calcio solido in termini aziendali e patrimoniali, ciò che è condizione indispensabile per raggiungere gli obiettivi economici e permettere una successiva distribuzione di utili. Viceversa, la strategia degli attori di finanza speculativa è quella di “fare soldi ATTRAVERSO il calcio”. Il denaro iniettato nel movimento non ha lo scopo di promuovere lo sviluppo del movimento stesso o di creare patrimonializzazione, ma soltanto quello di incrementare il valore del denaro iniettato per poi riportarlo fuori dal calcio. Quest’ultimo, in condizioni del genere, si riduce a nulla più che un “incubatore finanziario”, oggetto del più bieco sfruttamento. Un destino tristissimo, per quello che è stato il gioco più bello del mondo. 

    2. No alla perdita di autonomia tecnica e finanziaria dei club

    Fondi d’investimento e TPO si presentano come “fonti alternative di finanziamento” per club in difficoltà finanziarie e non in condizione di accedere al credito bancario per averne già abusato. Il carattere alternativo di questa modalità di finanziamento sta nel fatto che esso sia mirato innanzitutto all’acquisizione di diritti economici sui calciatori. Il fondo o la TPO compra da un club quote dei diritti economici di un calciatore, o aiuta il club stesso a acquistare un calciatore da un altro club mantenendo per sé una quota dei diritti. Per chi non avesse capito come funzioni il giochino, spieghiamo che avere una percentuale sui diritti economici significa comprarsi il diritto a lucrare sulla futura vendita del calciatore. Se il fondo A ha comprato il 50% dei diritti economici di Tizio, calciatore del club X, o ha contribuito all’acquisto del calciatore Sempronio da parte del club Y mantenendo per sé il 50% dei diritti economici, ciò significa che quando Tizio e Sempronio verranno ceduti dal club X e dal club Y il fondo si metterà in tasca il 50% della cifra spuntata per le cessioni. Ciò ha due conseguenze evidenti. La prima: Tizio e Sempronio devono giocare il più possibile, perché la loro quotazione di mercato deve lievitare. La seconda: nel momento in cui Tizio e Sempronio raggiungono una quotazione di mercato ritenuta soddisfacente dagli investitori, essi devono essere venduti. E sottolineo: non POSSONO essere venduti, ma DEVONO essere venduti. Perché l’investitore guadagna sulla cessione, e invece un calciatore fermo in un club è un investimento morto. In una condizione del genere, qual è l’autonomia del club in materia di scelte tecniche e di mercato? Domanda retorica. C’è da aggiungere un’ulteriore sfumatura. Alcuni dei fondi che investono in calciatori agiscono anche da attori finanziari puri. Cioè prestano ai club denaro a tassi d’interesse piuttosto sostenuti, e in cambio prendono come garanzia diritti sui giovani calciatori più promettenti. Chi non sa di queste cose, vada a studiarsi i casi del Santos, dello Sporting Gijon e dell’Elche. Storie molto più significative rispetto a quelle, gonfie di propaganda e mistificazioni, che parlano dell’Atletico Madrid e del Porto. Per i club che si avvitano in questa spirale di dipendenza finanziaria, i fondi e le TPO non sono una fonte alternativa di finanziamento, ma piuttosto una fonte alternativa d’indebitamento. 

    3. No alla concorrenza sleale sul mercato del lavoro dei calciatori

    Dal punto illustrato sopra abbiamo preso coscienza di come i club, ma anche gli staff tecnici delle squadre, possano essere condizionati nelle scelte dei calciatori da tenere in rosa e schierare in campo. E il condizionamento deriva dagli interessi e dalle pressioni da parte degli investitori. Questo aspetto pone un serio problema sul piano della libera concorrenza sul mercato del lavoro dei calciatori. Perché i calciatori che si muovono sotto l’egida di una TPO o di un fondo trovano sempre un club pronto a ingaggiarli, anche nel caso in cui si tratti di atleti di provata modestia. E ciò avviene a scapito di altri calciatori la cui sola colpa è quella di non essere infeudati a una terza parte. Sarebbe questa la struttura di “libero mercato” che fondi e TPO hanno in mente? 

    4. No alla violazione della dignità del calciatore come essere umano

    Questo è il punto più delicato. Quando una persona fisica è in quota o in toto proprietà di un’altra persona fisica o di una persona giuridica, siamo a una palese violazione della dignità dell’essere umano. E qualcuno obietterà che tutto sommato, per il calciatore, non c’è grande differenza fra essere proprietà di un club o essere proprietà di un investitore privato. Nulla di più sbagliato. Il club non è titolare del calciatore, ma di un rapporto di lavoro col calciatore siglato attraverso un regolare contratto. Tant’è che quando si realizza la compravendita di un calciatore fra un club e un altro, la corretta formulazione dello scambio di mercato dovrebbe portare a dire che ci sia stata una “cessione di contratto”, e non già una cessione del calciatore. Tutt’altra cosa è per il calciatore essere assoggettato a attori finanziari. Per i quali il calciatore stesso è come un asset da spacchettare e sottoporre a una brutale logica di scommessa finanziaria. Di fatto, stiamo parlando della cartolarizzazione di esseri umani. Una delle cose più oscene in cui ci si possa imbattere di questi tempi. Sento farsi largo l’altra obiezione: “Ma che esagerazione, parlare di violazione della dignità umana o addirittura di nuove forme di schiavismo! In fondo stiamo parlando di ragazzi ricchi che fanno il lavoro sognato da bambini. Fossero queste per tutti, le condizioni di schiavutù!”. A questa obiezione rispondo che a finire nella morsa degli attori finanziari sono non soltanto calciatori di medio-alta levatura, e dunque capaci di autonomia e forza contrattuale verso le TPO, ma anche soggetti più deboli che si trovano presto ridotti in condizioni di privazione della libertà professionale. Gli scettici si leggano bene la storia del colombiano Brayan Angulo, che ha dovuto rivolgersi al TAS per ottenere la libertà dal fondo con sede in Svizzera dello squalo maiorchino Bartolmé Cursach. O meglio ancora, leggano una storia di casa nostra sulla quale è calato il silenzio: quella del paraguayano Marcelo Estigarribia, che nel corso di un’intervista rilasciata a Sportweek lo scorso settembre ha confessato di non riuscire a liberarsi dal controllo di un fondo d’investimento, che lo costringe a cambiare club ogni anno. Magari costoro prenderanno a vedere la cosa in modo diverso. 

    5. No alla minaccia contro l’integrità del gioco

    Domandina finale: quando un solo soggetto controlla un esercito di calciatori sparsi nei singoli campionati, ha fra i propri rappresentati anche allenatori che stabiliscono chi scende in campo e chi no, e può persino condizionare i club utilizzando in modo permissivo o restrittivo la leva finanziaria, ci sarà mica un rischio per la regolarità delle competizioni? È il vecchio tema dell’integrità del gioco. Mai attuale come adesso. 

    Questi sono i motivi per cui diciamo NO al ruolo dei fondi d’investimento e delle TPO nel calcio. E una volta chiarito tutto ciò, ci si continui pure a accusare d’essere anti-milanisti o anti-qualcos’altro. Ce ne faremo una ragione. 

    di Pippo Russo
    @pippoevai


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