Roma, Osvaldo: |'In Italia nel calcio non c'è logica'
L'attaccante Osvaldo, della Roma, si racconta nel numero di GQ in edicola dal 29 novembre.
"Cerco di essere sempre me stesso, nel mondo in cui lavoro è difficile. Viviamo in un'anormalità oggettiva - aggiunge l'italo-argentino -. Sono arrivato a Bergamo il 12 gennaio del 2006, compivo 20 anni. Un freddo cane, la neve, l'albergo in mezzo al nulla, circondato dai silos di Zingonia. Arrivato in camera, ho iniziato a piangere. Fu dura. Non c'era un solo argentino, uno straccio di uruguaiano. Ero lontanissimo da casa, i compagni ridevano tra loro. Parlavano una lingua che non capivo. Diventai un po' paranoico. Pensavo ridessero di me. Poi andò meglio e mi integrai".
"Ogni tanto vorrei essere una persona qualsiasi. Andare in una piazza - conclude Osvaldo -. In Italia è impossibile. A Barcellona lo facevo, andavo in Plaça de Catalunya con un mio amico, lui faceva ritratti ai passanti, io suonavo la chitarra. Non mi riconoscevano. Era bello. È affascinante la semplicità. In Italia non c’è mai una via di mezzo. Un giorno sei da scudetto e quello dopo da rogo. La mancanza di equilibrio mi fa infuriare, però non posso farci niente. E non ho voglia di fare niente. Il pubblico pagante non ha tutti i diritti? Ma neanche per sogno. Io perdo una palla e tu mi vomiti addosso il tuo odio? Non è normale. Se il tifoso sbaglia al lavoro posso andare a picchiarlo, gettargli una banana o dirgli che sua madre è una poco di buono? Bella logica".