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Sacchi a CM: 'Milan, con Pioli serve pazienza. In Italia ci sono allenatori più bravi di certi dirigenti. Agnelli e Conte...'

Sacchi a CM: 'Milan, con Pioli serve pazienza. In Italia ci sono allenatori più bravi di certi dirigenti. Agnelli e Conte...'

  • Giancarlo Padovan
    Giancarlo Padovan
L'ex allenatore di Milan, Parma e Atletico Madrid nonché ex-ct della Nazionale, Arrigo Sacchi, si è concesso in intervista a Calciomercato.com per commentare l'attuale momento del nostro campionato

Arrigo Sacchi, parliamo del Milan?
“Ah be’, cominciamo bene”.

Non vorrai evitare un parere sulla tua ex squadra?
“Parliamo, parliamo”.

Cosa servirebbe?
“Ci vuole pazienza”.

Con Giampaolo non l’hanno avuta.
“Dovranno avercela con Pioli”.

La squadra non ha mai funzionato.
“Hanno preso tanti giovani e quando è così l’inserimento è più lento. Alcuni non hanno esperienza, altri vengono da campionati diversi rispetto alle difficoltà del nostro. L’ho detto, ci vuole pazienza, però…”

Però
“Serve anche determinazione.  A volte non mi pare sia troppo elevata”.

Ti riferisci ai calciatori?
“Sì”.

A proposito di pazienza. Prima del campionato mi dicesti che la anche la Juve ne avrebbe dovuta avere con Maurizio Sarri.
“Hermann Hesse diceva che l’intelligenza è bene, la pazienza è meglio”.

Pazienza perché?
“Perchè cambiando in modo così radicale, e non mi riferisco ai calciatori, ma all’allenatore, puoi avere tanti alti e bassi. E poi c’è un’altra cosa”.

Quale?
“Per vincere devi avere sempre una grande motivazione”.

La Juventus ce l’ha sempre avuta.
“Sì, ma ha vinto otto scudetti consecutivi ed è arrivata due volte seconda in Europa. Quando io arrivai al Milan erano dieci anni che non si vinceva in Italia e venti in Europa. Le condizioni erano diverse”.

Dunque?
“Sarà determinante la società. Il tentativo di inserire l’innovazione è molto apprezzabile. Andrea Agnelli è stato un grande. Sa quanto la Juve sia importante per l’evoluzione del calcio italiano, conosce il ruolo di leader che il club detiene nel nostro movimento. Se la Juve cambia, tutti guardano alla novità con interesse perché è la società più amata e più poderosa. I suoi successi potrebbero far sì che anche altri seguissero il modello di innovazione. Purtroppo per anni ci siamo accontentati di vincere senza chiederci come. Uno scrittore diceva, ben prima dell’esistenza del  calcio, che la bellezza salverà il mondo”.

Il tuo amico Antonio Conte sta facendo bene con l’Inter, ma non ha perso il vizio di lamentarsi di tutto: la rosa, il calendario, le troppe partite.
“Antonio è un perfezionista e vorrebbe vedere subito i frutti del suo lavoro. Invece per questi cambiamenti ci vuole tempo. Certe valutazioni le potrei fare se tu mi chiamassi verso Natale”.

Perché a Natale?
“Perchè a quel punto si vede quanto le squadre hanno recepito il lavoro fatto dai loro allenatori. Oggi c’è la volontà di fare, ma il gioco non ancora. Sono convinto che tanto Maurizio alla Juve quanto Antonio all’Inter e, a maggior ragione, Pioli al Milan non siano contenti. Ma è normale”.

E l’Atalanta?
“Raccoglie i frutti del grande lavoro fatto in questi anni da Gian Piero Gasperini”.

Può vincere lo scudetto?
“Insieme alle grandi è la squadra più pronta. Se la Juve dovesse avere una crisi, l’Atalanta va tenuta nella stessa considerazione delle altre”.

Perchè parli di una possibile crisi della Juve?
“Perchè esiste anche una precarietà nella vittoria e loro hanno vinto molto. Se ti viene meno l’ossessione del successo che, per me, è una condizione necessaria, la Juve può avere qualche passaggio a vuoto. Ho visto il pareggio con il Lecce e la Juve avrebbe potuto fare sei gol. Vuol dire che la qualità c’è, manca la determinazione”.

Eppure l’Atalanta in Champions League è la squadra italiana più bastonata.
“E allora? Se a Manchester avessero perso 1-0 sarebbe cambiato qualcosa? L’Atalanta ha  un’idea di gioco precisa e cerca di vincere attraverso quella. Il problema, casomai, è che in Europa tutti giocano a sistema puro e il divario di esperienza e qualità viene fuori. Ma nell’esplosione dell’Atalanta c’entra molto anche la società, il club viene prima di tutto”.

Prescindendo dai risultati contingenti, dove sta andando il calcio italiano?
“Eccezioni a parte, abbiamo allenatori più bravi di alcuni dirigenti. A volte sento ancora dire da qualcuno: squadra che vince non si cambia. E’ vero l’esatto contrario. Quando si vince si è ricettivi e creativi. Quando si perde non devi fare cambiamenti, ma recuperare l’autostima del gruppo”.

Non vedi qualche segnale positivo nel gioco di tutte le squadre?
“C’è sicuramente un risveglio, anche perchè il pubblico vede molto calcio, la televisione ci porta a casa quello straniero e assisti a spettacoli che ti divertono, che ti tengono con il fiato sospeso. Il calcio è sempre più ottimistico e offensivo e sempre meno difensivo e individualista”.

A me sembra che anche le nostre squadre medie o piccole giochino sempre per vincere.
“E’ così. Oggi il Verona è una squadra d’attacco, se vedi il Genoa sai che farà una bella partita. Sono rimasti in pochi a fare lanci lunghi con la difesa numerosa e il contropiede. Mi pare che la maggioranza degli allenatori punti a segnare un gol in più anziché subirne uno in meno”.

Cosa pensi dei nostri giovani talenti?
“Come sai ho lavorato quattro anni nel settore giovanile della Nazionale e quindi conosco bene la situazione. Il problema è che a volte i ragazzi vengono celebrati prematuramente per vendere qualche copia di giornale. E alcuni tendono a peccare. Il calcio è una filosofia, non un sistema di gioco e se perdi i valori sei finito. Come fai a migliorare se sei presuntuoso? Che coscienza puoi avere senza l’etica del lavoro e del collettivo?”.

Ma ci sarà qualcuno che ti piace?
“Certo, ma nomi non ne faccio per non rovinare nessuno”.

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