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  • Sacchi vive da 30 anni sulla sua isola però Allegri e Ranieri vanno rispettati

    Sacchi vive da 30 anni sulla sua isola però Allegri e Ranieri vanno rispettati

    Il peso che Sacchi ha avuto nella storia del calcio italiano è stato nettamente superiore rispetto alle sue vittorie, che pure sono state considerevoli: uno scudetto, due coppe dei campioni, due coppe intercontinentali, qualche supercoppa. I trofei ovviamente contano, ma non è il solo ad avere vinto tanto: Ancelotti, Capello, Lippi e Trapattoni, ad esempio, di successi in bacheca ne hanno decisamente più di lui, inoltre sono andati a prenderseli anche all’estero e sono rimasti al vertice molto più a lungo. Il fatto è che Arrigo ha stravolto - ovviamente in positivo - la mentalità del nostro calcio, al punto che non è sbagliato sostenere che in Italia c’è un pre-Sacchi e un post-Sacchi: prima, catenaccio e contropiede; dopo, aggressività e spettacolo.
     
    Dato ad Arrigo ciò che è di Arrigo, cioè moltissimo, diciamo anche che adesso sta esagerando, al punto da diventare quasi patetico. Nell’ultima intervista che ha rilasciato a LaPresse ci sono considerazioni in bilico tra paradosso e follia: se frasi del genere le avesse dette qualche altro integralista caduto in disgrazia, tipo Maifredi o Zeman, ne avrebbero riso tutti. E’ paradossale criticare oggi Allegri, e la correzione in corsa delle ultime ore non cambia certo la sostanza di quanto giò detto; peggio ancora paragonare la Juve al Rosenborg oppure attaccare addirittura Ranieri, che con una legione di soldati raccolti per strada sta mettendo in scacco eserciti fortissimi e armati fino ai denti. "Ma il suo calcio non è armonico". E dai...
     
    Nel mondo di Sacchi, di cui fa parte solo lui, la Juve dovrebbe vincere sempre la Champions (arrivare alla finale mentre si mietono scudetti evidentemente è poco), Allegri giocare come il Barcellona (anche se non ha quei fenomeni), Ranieri disintegrare il City o l’Arsenal non facendo toccare palla all’avversario (perché nei risultati sta già umiliando tutti gli altri club inglesi).
     
    Ma il mondo di Sacchi si è fermato al 1990, quando ha vinto il suo ultimo trofeo. All’epoca, oltre al suo Milan, avevamo anche il Napoli di Maradona, l’Inter dei record, la Samp di Mancini e Vialli; all’epoca eravamo così forti che, in aggiunta alle coppe dei campioni rossonere, vincevamo sei coppe Uefa su sette (portando in finale dieci squadre), a testimonianza di un dominio assoluto in Europa. Insomma, allora i padroni eravamo noi. Adesso, non più.
     
    Sono passati quasi trent’anni da quando ha cominciato a vincere e ventisei anni da quando ha smesso, eppure Sacchi è ancora chiuso dentro al suo mondo. Sembra un po’ Hiroo Onoda, il giapponese che continuava a combattere nella giungla tre decenni dopo la fine della seconda guerra mondiale come se fosse ancora il ‘44. Qualcuno tiri fuori Arrigo da lì, qualcuno glielo dica: Gullit e Van Basten, Baresi e Maldini non giocano più. Non giocano nel Milan, nella Juve e nemmeno nel Leicester. Si rassegni, dunque: Allegri e Ranieri fanno con ciò che hanno, che non è poco ma nemmeno tantissimo. E lo fanno molto, ma molto bene. Perciò meritano rispetto e ammirazione, anche da chi ha cambiato la storia del calcio italiano. Trent’anni fa.

    Stefano Agresti

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