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  • Sampmania: l'Inferno è ripetizione

    Sampmania: l'Inferno è ripetizione

    • Lorenzo Montaldo
    Ieri sera uno spettatore della televisione per la quale stavo commentando la partita ha scritto un messaggio che penso sintetizzi perfettamente la sensazione provata sino ad oggi. “Sembra di vedere sempre la stessa, interminabile partita”, ha scritto, e io lo ringrazio. E’ esattamente così, anzi, mi approprio di questa frase, sperando di non essere accusato di plagio. 

    In effetti, con la Sampdoria sembra di affrontare a ripetizione lo stesso incubo. Nella letteratura è pieno di esempi di loop infernali, e spesso anzi l’inferno viene raffigurato proprio in questo modo: un luogo senza tempo, dove le anime restano bloccate, obbligate a reiterare all’infinito la loro pena. Questa rappresentazione poi declina in vari modi: nell’Inferno dantesco, la punizione durerà sino al Giudizio Universale, in altri scenari invece il castigo è proprio la ripetizione eterna di una situazione specifica, di un momento o di una sofferenza. In Groundhog Day, in italiano ‘Ricomincio da capo’ (o anche ‘Il giorno della Marmotta), un reporter è obbligato a replicare una giornata specifica in un posto che odia. Ecco, per noi questo campionato è qualcosa di molto simile al giorno della marmotta.

    Siamo intrappolati in uno scenario che si ripresenta sempre uguale a sé stesso, in un'interminabile partita infinita, che ricorda un po’ quei tremendi sogni da cui non riesci a svegliarti. E’ accanimento terapeutico, è sardonica cattiveria. La Sampdoria continua a giocare gli stessi novanta minuti dilatati nel tempo, diventati infiniti, e non ne scappa. Torino-Sampdoria è stata uguale a Sampdoria-Fiorentina, che a sua volta era identica a Spezia-Sampdoria, che era la fotocopia di Sampdoria-Monza, clonata da Verona-Sampdoria.  E così via, giù e poi giù e poi giù, sempre più in basso nelle spirali infernali.

    A lasciare basiti, nella partita di Torino, è stata la totale assenza di organizzazione e gioco da parte dei blucerchiati. Il Doria ieri era sicuramente più equilibrato, a livello di formazione, rispetto alla Samp vista in altre uscite. Se non altro, i giocatori erano collocati quasi tutti nella loro posizione naturale. E per qualche tempo, la squadra di Stankovic ha tenuto botta. Però sono bastate un paio di accelerate di un Torino tutt’altro che irresistibile e brillante, per affettare e fare a brandelli una squadra fragile, insicura e vuota. Peccato, perché il Toro di ieri era una compagine che qualche punto per strada avrebbe potuto lasciarlo, specialmente ad un’avversaria realmente calata nella mentalità della corsa salvezza. Se possibile, ciò aumenta i rimpianti.

    Mediocre. La Sampdoria è mediocre in tutto. Mediocre in qualità degli interpreti, mediocre in fisicità, mediocre in preparazione e mediocre pure sotto al piano dell’orgoglio. Preso il primo gol, i blucerchiati si squagliano. Anzi, la cosa peggiore è che non hai mai, MAI l’impressione che Caputo e compagni possano rimontare ad uno svantaggio. Anche perché è difficile riuscirci se incassi quasi due gol a partita di media, e ne fai meno di uno ogni centottanta minuti. E’ una questione puramente numerica. La preoccupante mancanza di gioco e di costrutto rende la Samp di Stankovic peggiore di quella di inizio stagione, che se non altro un paio di azioni a partita riusciva a crearle. La confusione dei calciatori in campo è palpabile, così come è palese la loro totale incapacità di reagire agli schiaffi avversari. Il povero Audero continua a parare il parabile e anche di più (ieri sera un altro intervento eccezionale, l’ennesimo) ma è l’unico a tenere la testa fuori dall’acqua mentre la barca, sotto di lui, è già completamente sommersa. Viceversa, i compagni di squadra hanno tutti qualcosa da rimproverarsi: il giallo di Colley è qualcosa di inaccettabile, per Caputo adesso l’alibi del ‘E’ troppo solo, Giampaolo lo fa giocare unica punta’ non vale più, Djuricic adesso il 110% ha già smesso di darlo con il nuovo allenatore? E potrei andare avanti, indovinate un po’ per quanto? Già, all’infinito.

    Lo stesso Stankovic ieri ha lanciato un grido d’allarme. Le sue frasi post gara erano un chiaro segnale a dirigenza e proprietà. Ma non penso basti per uscire dall’Ade. La partita con il Lecce qualcuno la definisce la partita della vita, io spero non sia un ulteriore escamotage per allungare l’agonia, resa oltretutto più amara dal fatto che, come in ogni incubo che si rispetti, l’ancora di salvezza è lì, a pochi centimetri, o a pochi punti, in questo caso. Ti sembra di poterla toccare, di riuscire a sfiorarla, e invece resta sempre ad un soffio dalle tue dita protese. Come se si trattasse di un beffardo scherzo. "L'inferno è ripetizione” affermava Linoge nel racconto ‘La tempesta del secolo’ di Stephen King. La frase, però, è mutuata da un filosofo francese del Novecento, Gustave Thibon, che disse “L’inferno è ripetizione; il cielo, rinnovamento”.  Sono dannatamente - è proprio il caso di dirlo - d’accordo. Peccato che, da quaggiù, il cielo non si veda.

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