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  • Sampmania: la pietra rovesciata
Sampmania: la pietra rovesciata

Sampmania: la pietra rovesciata

  • Lorenzo Montaldo
Ci si ricorda delle brutture della Sampdoria quando la situazione precipita. Tornano alla mente quando la squadra annaspa in fondo alla classifica, in crisi di identità e di gioco, quando si rovescia la pietra e tutto ciò che nasconde viene improvvisamente scoperchiato. Il paradosso è che di tempo, per accorgerci del marciume sotto al sasso, ce n’è stato parecchio. Invece si è preferito concedere tutte le attenuanti, le giustificazioni e le scuse possibili ed immaginabili a chi questa squadra l’ha organizzata, creata e pensata proprio in questo modo.

L’epilogo avrebbe dovuto essere lampante già sette anni fa. Ma concediamo il beneficio del dubbio. Eppure, anche i più restii dovevano accorgersi della deriva presa dalla gestione della Sampdoria almeno da tre stagioni. Una china inevitabile, anzi, se mai addirittura posticipata rispetto alle previsioni. “Sono secoli che secondo i corvi e i menagrami la Samp finirà gambe all’aria”. Avessi un centesimo per tutte le volte in cui l’ho letto o me lo sono sentito dire, oggi vi scriverei da Cervinia e passerei il mio pomeriggio sugli sci. La verità è che in realtà l’inesorabile esito di cui sopra ha rallentato il suo incedere, rispetto ai tempi attesi, soltanto per merito di alcune intuizioni di mercato fortunate, del lavoro di Marco Giampaolo, del Covid - con conseguenti dilazioni di pagamenti e agevolazioni fiscali - e in ultimo dall’esperienza di Ranieri, tecnico mai entusiasmante, per me, ma a cui va ascritto tutto il merito di una salvezza praticamente miracolosa e molto, molto fortunata.

Il fiocco di neve ha cominciato a rotolare giù per la scarpata nel giugno del 2014, ma si è trasformato in slavina soltanto nell’estate 2019, quella della trattativa Vialli. Le decisioni, lì, sono state praticamente tutte sbagliate. Murillo per Andersen, con annessa zavorra contrattuale, Rigoni per Praet e Maroni per Defrel, affidati a Di Francesco, rappresentano il manifesto programmatico di un disastro annunciato. Il Coronavirus, l’interruzione di campionato, il grandissimo lavoro di Ranieri e la doppietta di Ramirez a Lecce hanno messo una pezza, ma la falla appena tappata si è spalancata in un altro punto dello scafo, e la barchetta ha iniziato ad imbarcare acqua dal lato opposto. Ma l'ingranaggio, ormai, era stato messo in moto. Così, mentre la ciurma si affannava a correre da una parte all’altra all’interno della chiglia, con un secchiello come unica arma per gettare l’oceano fuori dalla coperta, tentando di bilanciare con ardite manovre il flusso in entrata, sul ponte l’orchestrina senza volto suonava le sue canzoncine di repertorio, sforzandosi di mascherare gli scricchiolii con lodi e peana alla ‘miglior gestione possibile’. Curioso come questa amministrazione idilliaca abbia condotto ad uno stadio con settemila presenza scarse, perdendone in media diecimila o giù di lì. Curioso come un tale concentrato di professionismo abbia indirizzato la squadra al terz’ultimo posto in classifica, senza prospettive di mercato riparatore e con pochissime plusvalenze in seno da sfruttare per autofinanziarsi. Curioso come il gradimento di eccelsi gestori di questo tipo sia ai minimi storici. Ma di sicuro sono io quello strano, l’ingenuo, incapace di comprendere la fortuna ad assistere ad un simile trattato di abilità imprenditoriale. 

‘Vedova di Depaoli’, ‘Disco rotto’, ‘Scribacchino’, ‘Corvo’ e ‘menagramo’ sono alcuni degli appellativi rivolti a me e ad altri in questi anni. Sì, a farlo era una minoranza, sempre la stessa, sempre i tre o quattro fantasmi senza nome. Vero. Però, che ‘la colpa è dei giornalisti’ l’ho sentito spesso, e non da una manciata di byte su Facebook. Sì, avete ragione. La colpa è (anche) dei giornalisti. Almeno di una parte. Una situazione del genere non è imputabile soltanto ad un singolo. Ma la responsabilità è pure vostra, anzi, nostra, di chi si è voluto far abbindolare, forse per ingenuità, forse per paura di sporgersi e guardare l’abisso, forse perché all’ombra di chi detiene il potere in quel momento si sta bene e ci si sente protetti.

Negli ultimi giorni, a Genova è montata la polemica nei confronti di Edoardo Garrone. Si chiedono spiegazioni all’ex presidente, si vuole sapere perché proprio Ferrero, da dove nasce la volontà di affidare a un tizio soprannominato Viperetta un bene più grande di famiglia, per quanto importante e potente sia. Sento rivolgere al numero uno di Erg delle domande legittime, e leggo nel frattempo l’ormai consueto attacco alla stampa, ‘perché non le avete fatte voi le pulci a Garrone’, ‘Perchè non lo chiamate e non glielo chiedete?’
Vi svelo un segreto. Non risponde. E non risponderà mai. Semplice. Anzi, proprio a volerla dire tutta, gli interrogativi che oggi la maggioranza si pone li avevo buttati giù due anni fa, dicembre 2019. Le trovate qui, in questo Sampmania. Se mai verrebbe da chiedersi per quale motivo ci si sia ricordati di sollevarli, questi dubbi, soltanto nel novembre 2021. Ecco, la colpa dei sampdoriani, di una parte quantomeno, secondo me è proprio questa. Anni di anestetizzata passività, di fantasiose scuse e originali difese escogitate quando il Doria aspettava settimane per ingaggiare un allenatore, quando conduceva mercati raffazzonati e improvvisati, quando bastava il favore del procuratore di turno per far risuonare fanfare e grancasse, e per bollare come tristi o deprimenti o, ancora peggio, ingenui prezzolati gli scettici di codesta meravigliosa corte di Versalliles.

Questa situazione di colpevoli ne ha molti. Alcuni sono macroscopici: responsabile è colui che ha messo una cosa bellissima nelle mani di Ferrero e Romei, certo, e altrettanto lo è chi l’ha sfruttata per scopi personali, spolpandola, maltrattandola e insolentendola fino a svilirla. Ma anche noi siamo colpevoli. Colpevoli di aver girato la faccia dall’altra parte, colpevoli di aver scelto la via più comoda, colpevoli di non essere rimasti in piedi, ma di esserci inchinati ripetendo ‘quanto è bravo lei, quanto è magnanimo lei’, perché era più facile, perché ‘al vero tifoso non interessa il risultato’, perché ‘il vero tifoso non si occupa di società’. Puntare il dito è semplice, troppo semplice, persino banale e qualunquista. L’autocritica, alle volte, non è una brutta cosa. E ci conviene iniziare a farla. Anche perché, continuando a rotolare su questo versante, temo avremo molto tempo per dedicarci ad essa.

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