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  • Sampmania: Match Point, ovvero 'Maradona (quasi) alla Sampdoria'

    Sampmania: Match Point, ovvero 'Maradona (quasi) alla Sampdoria'

    • Lorenzo Montaldo
    Qualunque innamorato del calcio ha sognato, almeno una volta nella vita, di avere in squadra Diego Armando Maradona. 'El Pibe' è universale, trasversale, tutti ne avrebbero voluto un pezzetto e in fondo tutti, nel loro piccolo, alla fine il loro pezzetto lo hanno avuto. Chiunque seguisse il calcio negli anni di Diego racconta di avere la sua 'Maradona' preferita, la giocata del Diez - magari insignificante o passata in cavalleria nel mare di perle dell'argentino - che però non riesce a dimenticare. E' il marchio distintivo dei mostri, di quelli che nel loro campo spazzano via tutti gli altri: Jordan, Senna, Pantani, Alì e Coppi per quelli con i capelli grigi, e Maradona. Ognuno ha il suo momento con loro, e non necessariamente esso coincide con l'attimo più famoso o iconico. 

    Tutti fantasticavano su Maradona con la maglia della propria squadra, dicevamo, ma i privilegiati sono stati pochi. All’epoca non esistevano i fotomontaggi, non c’era photoshop, e forse era meglio così. A Buenos Aires, Barcellona e Napoli hanno ammirato Re Sole all'apice del suo splendore, a Siviglia e a Rosario hanno soltanto intravisto il suo luccichio al crepuscolo. In un'altra città però qualcuno, anche se soltanto per poche ore, ha osato immaginare davvero di prendersi l'intera Reggia di Versailles, con annesso persino il suo parco. Conoscete l’aneddoto, tramandato a Genova di padre in figlio come una reliquia, costruito proprio attorno a Diego?

    Metà anni '80: Corrado Ferlaino, allora numero uno del Napoli, incontra Paolo Mantovani, che nel frattempo ha tirato su la Samp più ambiziosa di sempre. I due presidenti, amici di vecchia data, si siedono ad un tavolo e Paolo, come ogni grande uomo amante del colpo di teatro, appoggia sul piano di legno un assegno, già firmato e in bianco. "Corrado, metti tu la cifra e dammi Maradona" è la frase attribuita dalla storiografia all'uomo che fu la Sampdoria. Momento di silenzio e riflessione dall'altra parte della scrivania, poi la replica: "Paolo, non posso, se vendo Maradona mi ammazzano". Niente da fare, il palazzo non si muove da Versailles, ma per qualche lungo, interminabile secondo, la pallina è rimasta in equilibrio sulla rete, come in 'Match Point' di Woody Allen.

    "La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita" recita il monologo all'inizio del capolavoro del regista newyorkese. "Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po' di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no e allora si perde". Quella volta la pallina è ritornata nel campo della Samp. Peccato, punto per gli altri. Ma i tifosi blucerchiati ci sono abituati. Spesso la piccola sfera gialla si è fermata immobile, per poi rimbalzare dalla parte sbagliata. Alle volte è costata un set, come a Roma in finale di Coppa Italia o nei supplementari del Ferraris al cospetto del Werder Brema, in altre circostanze invece la forza di gravità ha rubato il match point da Grande Slam. Non può essere un caso se Wimbledon dista neppure 15 chilometri da Wembley, dove la Samp ha lasciato la Coppa più importante, e pure metà del suo cuore.

    Il giorno in cui Paolo Mantovani provò a portare Maradona alla Sampdoria la pallina finì dalla parte sbagliata della rete per i genovesi, e ai tifosi blucerchiati quindi è rimasta una magra consolazione. E' la foto sbiadita, un po’ sgranata, a colori opachi ma inconfondibili. La trovate a corredo di questo articolo. C’è Diego che gioca a calcio, anzi, a calcetto, dopo la prima squalifica per doping ad inizio anni ’90. E’ a Buenos Aires, a casa, e la sua squadra indossa una maglia, quella maglia, quella blucerchiata con la scritta Erg, quella che nel mondo non ha nessun altro.

    Chissà come sarebbe andata se quel giorno, dopo il rovescio di Mantovani, la pallina non si fosse inciampata. Chissà cosa sarebbe successo se Ferlaino avesse detto “Sì, va bene, ti do Diego”. Chissà se ci sarebbero state Wembley e lo Scudetto, o magari gli scudetti, e chissà quali storie racconteremmo oggi. Non poteva essere altra squadra in Italia a giocare la prima partita al Diego Armando Maradona di Napoli se non quella che, per un qualche misterioso ed imperscrutabile motivo, è sempre rimasta intrecciata a doppio filo con la carriera del più grande di tutti i tempi. Non credete alle coincidenze, per favore, non quando si tratta di Dios. D’altro canto, volete sapere quale è stato il primo e pure l’ultimo club a cui Maradona ha segnato in Italia? Nemmeno ve lo sto a dire, ma vi do un indizio: era sempre la stesso…

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