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  • Sampmania: quattro cambi, illusioni e punti

    Sampmania: quattro cambi, illusioni e punti

    • Lorenzo Montaldo
    Complessivamente, tenendo conto del momento, delle premesse e dell’andamento preso dalla partita, il punto a Torino è persino un buon punto. Non perdi contro una diretta concorrente nella corsa alla permanenza in Serie A, conservi più o meno la posizione, fai risultato positivo dopo tre sconfitte consecutive tra campionato e Coppa, e torni ad accorciare il countdown salvezza che, non mi stancherò mai di ripeterlo, deve essere l’unica preoccupazione possibile da qui a maggio. Mancano 29 scalini, oggi, al solo obiettivo stagionale plausibile. Considerando il ciclo di ferro con Milan, Napoli e Hellas prima della sfida da dentro o fuori con il Crotone, è un mattoncino che serve, ma solo fino ad un certo punto. Il raddoppio di Quagliarella mi aveva illuso, per qualche istante ho pensato addirittura di riuscire a sfangarla, ma sono stato brutalmente riportato sulla terra dalla capocciata di Meité e dal pensiero che le squadre dietro giocano, eccome se giocano. Spezia, Udinese, Parma e Benevento hanno vinto, e per resuscitare il Genoa c’era bisogno della Samp, lo dimostra il successivo crollo rossoblù al Ferraris con il Parma. In quest’ottica, aver tenuto a distanza il Torino è quasi una mezza vittoria. Da lì a far passare il risultato come un’entusiasmante serata, però, ce ne passa

    La verità, come sempre, sta nei numeri. Leggendoli si ha un quadro abbastanza coerente con l’andamento del match. Ad esempio, emerge chiaramente l’agghiacciante primo tempo disputato dal Doria, terminato senza tentativi  nella porta avversaria. Alla fine, l’incontro si è concluso con due soli tiri nello specchio per i blucerchiati, entrambi trasformati grazie ad una perla di Quagliarella - forse la miglior giocata della Samp dal punto di vista squisitamente tecnico nell’intera stagione -  e alla rocambolesca rete messa a segno da Candreva, nata da un fortunato rimpallo, alimentata da un perfetto inserimento del numero 87 genovese e conclusa con un tiro su cui Sirigu non è stato impeccabile. Nella marcatura dell’1-1, la cosa più pregevole l’ha fatta l’esterno ex Inter, grazie ad una corsa di venti metri capace di lasciare di sale centrocampo e difesa granata. Massimo risultato con il minimo sforzo, e va bene così, ma il gioco corale, l’organizzazione e la creazione di palle gol sono tutta un’altra cosa. Di manovra ragionata, in questa Samp, c’è proprio poco. 

    I numeri raccontano anche un’altra faccia della partita. Credo sia importante notare la bassissima percentuale di contrasti vinti dalla Samp, il 21% contro l’80% della formazione granata, o l’alto margine di errore nei passaggi (80% riusciti e 461 effettuati, contro l’86,9% del Torino su 511 complessivi). Sono aspetti che si possono e si devono necessariamente allenare, strettamente interconnessi ad una mancanza strutturale di carattere e convinzione. Il Doria ha recuperato molti meno palloni del Torino (49 a 60), ha vinto un quarto dei contrasti rispetto ai granata (3 a 12) e ha battuto un terzo dei corner (2 a 6). Il dato più eclatante però è un altro, e riguarda le parate dei due portieri: zero per Sirigu, 5 per Audero, di cui almeno un paio determinanti e molto, molto difficili. Quando il migliore in campo è il tuo portiere, qualcosa da registrare - anche più di ‘'qualcosa’ - c’è. Ritengo queste cifre perfette per spiegare le motivazioni alla base delle continue rimonte subite da Quagliarella e compagni in stagione. Con il Torino, per la quarta volta in stagione, il Doria ha perso punti partendo da una situazione di vantaggio, l'1-2 della ripresa. Una squadra invischiata nella lotta salvezza non può  assolutamente permetterselo.

    Oggi l’accento viene posto sui quattro cambi operati all’intervallo da Ranieri, capaci di restituire pericolosità alla Samp. Giusto attribuire i meriti delle sostituzioni al tecnico, questa volta decisamente non tardivo nelle scelte, ma il poker di subentranti può regalarci anche un’altra chiave di lettura. Quando un allenatore è costretto a disconoscere praticamente la metà delle sue scelte all’intervallo, la domanda è spontanea: si potevano prendere quelle decisioni prima del match? La formazione iniziale è stata sbagliata? Forse sì, forse no, non lo so, col senno del poi sicuramente sì. Pensare di capirne più di un professionista che allena da oltre trent’anni e segue la squadra quotidianamente sarebbe poco umile e decisamente inopportuno da parte mia, ma la domanda mi aleggia nella testa, e mi piacerebbe sentire una spiegazione in merito. La dichiarazione post partita di Benetti non aiuta molto, è stata qualcosa tipo: “I cambi sono concessi, si possono fare e non è un dramma. Abbiamo dato una sterzata alla squadra. Ma non è una bocciatura per chi è uscito. Anzi, servirà per il futuro”. Perfetto politichese pallonaro, e poco altro.

    Su cosa ragionare in ottica Milan? Di indicazioni ce ne sono tante: gli errori in fase di marcatura e posizionamento da parte della difesa, ad esempio, sono marchiani e collettivi. Non ci si può fermare in attesa di un fischio dell’arbitro a sancire una rimessa laterale, ed è imperdonabile marcare ad un metro di distanza il miglior bomber degli avversari. Impossibile non notare le amnesie del reparto arretrato, così come è inevitabile osservare la necessità per Quagliarella di scendere in campo con un giocatore in grado di sostenerlo alla pari di un vero attaccante. Da rivedere Verre ma pure Ramirez, in quest’ottica sarà fondamentale ritrovare Gabbiadini a pieno servizio. Il suo ingresso ha allentato la pressione sul numero 27 doriano, i movimenti da attaccante della punta ex Southampton, per quanto non brillante, obbligavano la difesa dei padroni di casa ad allargarsi e a perdere i propri punti di riferimento. Farlo contro il Milan sarà un altro paio di maniche, ma se non altro è un punto di partenza.

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