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  • Scaloni: 'Guadagno meno pur di giocare nell'Atalanta. I soldi non sono tutto'

    Scaloni: 'Guadagno meno pur di giocare nell'Atalanta. I soldi non sono tutto'

    "I soldi per me non sono stati mai il motore di niente. Né all'inizio, né ora. È difficile da spiegare, ma chi vive il calcio come me, dal campo non vorrebbe uscire mai. L'addio è un passaggio delicato e pericoloso. Devi rifletterci prima che ti sorprenda, arrivarci preparato, trovare un equilibrio. Capire che il pallone è importante, ma la realtà lo è molto di più. Conosco tanti amici che chiusi gli armadietti, tra una depressione e una domanda senza risposta, si sono persi. Ti illudi, ti senti immortale, pensi che la giostra giri in eterno. Invece il tempo corre. Gli anni passano veloci e non li trovi più". Con il ragionamento limpido di chi ha camminato a testa alta: "Non sono mai stato titolare da nessuna parte, ma ho lottato per farmi trovare pronto e non dovermi vergognare" il marziano Lionel Scaloni, oggi all'Atalanta, è passato anche da Roma. All'alba dell'epopea laziale e dopo un titolo con il Deportivo dei miracoli, Lio, oltre 50 gare in Champions, disputò anche un mondiale.

    Oggi, questa quercia argentina nata in quel '78 in cui Kempes non strinse la mano a Videla, dopo un'estate fuori rosa trascorsa ad allenarsi con le giovanili: "Due volte al giorno per dimostrare a me stesso e agli altri di esserci ancora", ha accettato di "spalmare" il contratto decurtandosi l'ingaggio: "Scadrà nel 2015" e per la gioia di uno spogliatoio che lo adora e ne riconosce il ruolo di capitano aggiunto è stato reintegrato in squadra con generale stupore e ottime pagelle.

    Lo davano per disperso. Per finito. È riemerso con le unghie, quando ogni cosa, per sazietà, avrebbe dovuto spingerlo a pagare il conto, alzarsi e salutare in anticipo la compagnia. "Ma io non ero stanco di giocare e vorrei farlo ancora a lungo". Pausa: "Arriverà il momento in cui dovrò smettere, ma cosa accadrà non lo so. Allenare è affascinante, ma non dipenderà solo da me. Ci sono le occasioni e poi, su tutto, dominano i risultati. Bisogna vincere. Conosco le regole. Non me lamento".

    Di Scaloni non si ricordano piazzate, cassanate, Zigonifollie. Correttezza, lavoro e pochissime parole. I giovani lo ascoltano. Lui li mette in guardia: "Quando iniziai, l'ambizione era comprare le scarpe a mio padre. Oggi scelgo tra 6 o 7 paia di scarpini a gara offerti dallo sponsor. Il nostro mondo è cambiato moltissimo. I ragazzi ottengono 3 anni di contratto, si illudono che la vita sia risolta e si sentano migliori e più importanti del lecito. Se capiscono che non sono superiori a nessuno, hanno già fatto un bel pezzo di strada. La fortuna può svanire in fretta, evaporare, voltarti le spalle". Conta il contesto: "L'Atalanta è un modello e il vivaio qui è molto più che una scuola di calcio, ma quando vedo grandi talenti da coltivare, i De Luca e i Livaja, li martello comunque".

    Autoscatto ironico: "Quando consiglio i 20enni succede che mi rispondano ‘me l'hai già detto, Lio'. Forse sto invecchiando davvero o forse amo troppo quel che faccio". Scaloni Lionel, 35 anni. Si trova in alto, sulla fascia destra, senza procuratore, nella fossa delle perle rare. Nell'oasi deserta delle persone serie.

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