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    Shakhtar Donetsk, 120 milioni bruciati dalla guerra: ora la Champions, con le multinazionali e lontano dai russi

    Shakhtar Donetsk, 120 milioni bruciati dalla guerra: ora la Champions, con le multinazionali e lontano dai russi

    • Marcel Vulpis
      Marcel Vulpis
    Sarà ancora una volta lo Shakhtar Donetsk (il club di calcio ucraino più ricco in termini di budget), la bandiera sportiva, in Europa, di un’intera nazione. Gli arancioneri hanno vinto, poche settimane fa, il loro 14° titolo nazionale (la Prem"jer-lіha), conquistando ben 72 punti (5 in più del Dnipro e dello Zorya), ma, soprattutto, l’accesso ai preliminari di Champions League (2023/24). 

    Prima si assisterà ad un nutrito calendario di amichevoli estive (con AZ, AEK, Gent, Ajax e Tottenham), tutte rigorosamente da disputarsi all’estero. Una caratteristica, quest’ultima, che fa parte ormai della vita quotidiana del club, di proprietà del magnate Rinat Achmetov, presidente di System Capital Management (a sua volta main sponsor di del “club dei minatori”). 

    La guerra è presente, sul suolo ucraino, dal lontano 2014 e il Donbass, ricca regione mineraria, è stato uno dei territori maggiormente coinvolti. Uno degli effetti più visibili è sicuramente il bombardamento (con successiva inagibilità) della Donbass Arena.

    La “casa” dello Shakhtar è stata realizzata (con un costo complessivo di 320 milioni di euro) nel 2009 (dopo appena 3 anni di cantieri). L’obiettivo era creare un impianto moderno da utilizzare non solo per il calcio ma anche per eventi e concerti. Non a caso, per l’inaugurazione della struttura, venne allestita, da K-Events-Filmaster, una cerimonia trasmessa in mondovisione. 
    Dall’agosto del 2014, data del primo bombardamento (ha colpito la tribuna centrale assieme alla zona dello spogliatoio), il forte club ucraino (solo la Dinamo Kiev può vantare un maggior numero di titoli nazionali) non vi ha più disputato match ufficiali. 
     
    SQUADRA ITINERANTE - Ciò ha portato lo Shakhtar ad abbandonare prima la Donbass Arena (per la cronaca il primo stadio dell’Europa dell’Est ad essere concepito e realizzato secondo gli standard “Elite Uefa”) e, successivamente, a giocare in trasferta, sia in campionato, sia in Europa (nelle coppe internazionali). Si stima che, solo guardando al mercato domestico, lo Shakhtar, in questi ultimi 9 anni, abbia perso, tra biglietteria e merchandising, non meno di 120 milioni di euro. 

    Un fatturato purtroppo non recuperabile, ma i timori maggiori sono per il prossimo futuro. La squadra ucraina è stata costretta, per cause di forza maggiore, a giocare lontana da casa, e più precisamente, prima a Leopoli, poi a Charkiv e a Kiev (dove ha trasferito i propri uffici commerciali). L’evoluzione del conflitto russo-ucraino, con l’invasione, dallo scorso febbraio 2022, su più larga scala, ha portato gli arancioneri ad esplorare, per un breve periodo (in concomitanza con le coppe europee) anche l’ipotesi Polonia. Per le partite “in casa” della fase a gironi della Champions League 2022/23 si è deciso infatti di giocare allo Stadion Wojska Polskiego di Varsavia, l’impianto del Legia (squadra della 1a divisione polacca).

    In attesa della nuova stagione sportiva, il club ucraino è sostenuto da un pool di sponsor, come per esempio il main SCM, il partner tecnico Puma e quattro general partner (Rexona, Pepsi, Brsm-Nafta e Sky Up Airlines). 

    Fa notizia infine la presenza di due multinazionali (l’australiana Rexona, ma soprattutto l’americana Pepsi). Un segno inequivocabile della crescita internazionale del marchio Shakhtar, ma anche dell’avvicinamento a posizioni meno filo-russe (come invece era avvenuto prima del 2014) da parte dell’oligarca-proprietario Rinat Achmetov. 

    Per dare un ultimo parametro di raffronto, nel 2009 (data di inaugurazione della Donbass Arena), il club di Donetsk poteva contare su oltre 20 aziende (principalmente ucraine e russe). 

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