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  • Sognava l'Inter, si innamorò della Sardegna: Gigi Riva e il ricordo del suo Cagliari da scudetto

    Sognava l'Inter, si innamorò della Sardegna: Gigi Riva e il ricordo del suo Cagliari da scudetto

    • Alberto Cerruti
      Alberto Cerruti
    A riposo forzato per mancanza di partite, i nostri giornalisti inviati di Centesimo minuto in queste settimane mettono a disposizione la loro esperienza e i loro vissuti con una serie di articoli legati a situazioni di cui sono stati 'Testimoni oculari'. 

    Oggi sono 50 anni. Cinquant’anni esatti dall’unico, e per questo storico, scudetto del Cagliari, festeggiato il 12 aprile 1970 con il 2-0 al Bari, siglato dai gol di Gori e naturalmente di Riva. Anzi Giggirriva, come lo chiamavano e lo chiamano ancora i sardi. E sottolineo sardi perché Riva, nato il 7 novembre 1944 a Leggiuno, sulle sponde del Lago Maggiore, è il simbolo di un’intera regione e non di una città, come accadrebbe in tutte le squadre del resto d’Italia. E allora, invece di celebrare lo scudetto, approfitto di questa ricorrenza in arrivo per ricordare le nozze d’oro di Riva con la Sardegna, frugando nei ricordi di una emozionante chiacchierata con lui. 

    Era il 3 aprile 2013, quando il mitico bomber ci concesse il privilegio di raccontare in esclusiva sulle pagine della Gazzetta le tappe del suo innamoramento per l’isola, da cui non si è più spostato e mai più si sposterà, a prescindere dai divieti di questi giorni. Lui, promessa del Legnano e del calcio italiano, che aveva già giocato nella nazionale Juniores, sognava di andare all’Inter perché lì giocava il suo primo idolo, lo svedese Skoglund con la maglia numero 11, nel ricordo del quale ha poi voluto giocare per sempre con lo stesso numero. Invece di partire per Milano, nella primavera del 1963 si trovò suo malgrado in volo per Cagliari, accompagnato dalla sorella più grande Fausta, scomparsa poche settimane fa, che gli faceva da mamma, visto che la mamma vera non c’era già più. Su un turboelica da Milano a Genova e poi, dopo uno scalo, ecco l’arrivo ad Alghero, con l’ultima tappa a Cagliari, quando era già buio. “Quella è l’Africa”, si lasciò scappare il diciottenne Gigi, prendendosi un calcetto dalla sorella. Doveva essere un viaggio esplorativo, per conoscere la città e l’ambiente, con la promessa di poter tornare a casa, se non si fosse trovato bene. E invece Riva si trovò subito non bene, ma benissimo. Accolto dall’argentino Longo, leader della squadra, adottato dagli altri scapoli Cera, Nenè e Tomasini, quando non aveva ancora la patente e si aggrappava dietro al tram per andare da via Roma a casa senza pagare. Poi prese una 600 fiat, in comproprietà con Cera e Cappellaro, andando di nascosto sulla pista dello stadio per imparare a guidare. Nei giorni liberi era spesso nelle case dei pescatori, soprattutto di Martino che lo trattava come un figlio e gli insegnò a mangiare il pesce con le mani. Amato da tutti per la sua discrezione da sardo vero, venne contattato segretamente anche dal latitante Graziano Mesina che gli spediva lettere con queste parole in stampatello: “Domenica vengo a vedere la partita. Vinciamo, forza paris”, che in dialetto vuol dire “forza insieme”. Dal 1963 al 1970 sono passati sette anni, ma Riva non ha avuto bisogno di vincere lo scudetto per amare i sardi ed essere ricambiato. “Per me il Cagliari è la mia vita e la Sardegna è casa mia – ci disse quella sera nel ristorante del suo amico Giacomo – perché io ho capito che i banditi facevano i banditi soltanto per fame, perché allora c’era tanta fame. Ci chiamavo pecorai quando giocavamo, ma io ho sempre rispettato i pastori e per loro non ho mai voluto andare via, anche se dopo ogni partita con la Juventus spuntava Allodi che mi diceva: “dai telefoniamo a Boniperti che ti vuole”. Ho sempre detto di no, perché sarebbe stata una vigliaccata andare via. Io non me la sono mai sentita di tradire la Sardegna e i sardi, che con la  loro generosità mi hanno sempre fatto sentire uno di loro, attorno a tavolate con salsicce e maialino”. Così è rimasto per sempre in Sardegna, dove sono nati i suoi due figli e le sue cinque nipotine. E pazienza se non le potrà vedere a Pasqua, per colpa di quel maledetto virus. In fondo è soltanto questione di tempo, perché il tempo è galantuomo. Come Giggirriva che dopo averci raccontato per una sera il suo amore per la Sardegna ci ha salutato con una parola impossibile da dimenticare, mai più sentita alla fine di tante altre interviste: “Grazie”. Perché lo avevamo fatto parlare delle sue nozze d’oro con la Sardegna.

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