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  • Viola e l'Avvocato, storia di alta classe

    Viola e l'Avvocato, storia di alta classe

    • Marco Bernardini
    Non occorre aver letto gli scritti di Lord Byron per comprendere l’importanza delle buone maniere. Certamente la classe, intesa come “cifra” interiore, non è in vendita da nessuna parte. O la possiedi, per qualità innata, oppure devi rassegnarti nel farne a meno. Meglio di niente puoi ambire ad un certo stile che, potendolo apprendere come un materia scolastica, è comunque cosa ben differente dalla classe. La civiltà contemporanea bada sempre meno al sottile. I rapporti interpersonali, ahinoi, sono contrappuntati con frequenza insopportabile da sguaiatezze assortite, maleducazione, violenza fisica e verbale. Chiedere “per cortesia” è un optional. Saper chiedere “scusa”, poi, sembra essere diventato un segno di sottomissione o di vigliaccheria. E lo scivolo è sempre più inclinato verso il basso. La caduta anche di stile è un requiem per la morte della classe.

    Il calcio, cioè il mondo del pallone con i suoi protagonisti, è come sempre lo specchio nel quale vengono riflessi in giustezza gli atteggiamenti e i tic messi in luce da bravi registi capaci di cogliere l’autentica faccia dell’italiano medio. I “Mostri” di Dino Risi o i “Nuovi Mostri” del compianto Ettore Scola rimarranno totem immortali nella storia del cinema e del costume. Ma la vita non è un film.  Gli ultimi show verbali tra allenatori, con tanto di insulti omofobi, vanno a fare il paio con altre scene del recente passato caratterizzate da calci in culo, mani addosso e sputazzamenti vari. Sicchè viene spontaneo, per tentare di ritrovare un poco di normalità, guardare indietro. Specialmente oggi, giorno in cui tredici anni fa se ne andava Gianni Agnelli (foto da www.successeoggi.it) e la domenica che vedrà tra poche ore scendere in campo Juventus e Roma per l’ennesimo testa a testa.

    Gli incontri-scontri tra l’Avvocato e l’Ingegnere fanno ormai parte della letteratura. Duellanti sottili e arguti, soprattutto signori nel senso più lodevole del termine, amavano confrontarsi prima e dopo le partite come due olimpionici di fioretto per il sano divertimento di chi li osservava o li stava ad ascoltare. Dietro il loro lessico da gentleman per la serie “vinca il migliore” c’era naturalmente il desiderio per ciascuno dei due di “essere il migliore” attraverso le imprese delle reciproche squadre le cui tifoserie si mostravano i denti come cani cimurrosi. Sicchè poteva accadere che una domenica il  presidente Viola (foto da www.tumblr.com) venisse sbertucciato nella tribuna del Comunale con poco distante da lui Gianni Agnelli che vedeva e se la ridacchiava beato. Poi, al novantesimo scoccato, ecco che a Viola veniva consegnato un bigliettino. Un invito a cena a Villa Frescot, la Camelot degli Agnelli, per lui e signora. Qualunque fosse stato l’esito della gara. E dire che talvolta ci sarebbero stati gli estremi per litigare  di brutto. Come il 15 maggio del 1981 con il gol fantasma di Turone e la Roma che lascia i sogni di scudetto. Il giorno successivo sul tavolo della scrivania di Viola arrivò un pacchettino con dentro un righello per misurazione e un bigliettino con scritto “Caro Dino le invio lo strumento con il quale potrà verificare esattamente ciò che è accaduto in campo". Firmato Giampiero Boniperti. Il giorno successivo toccò al presidente della Juventus aprire un pacchetto con dentro un altro righello  e una nota scritta: “Caro Giampiero le rammento che io sono ingegnere e che quindi tocca a lei, geometra, il compito che mi suggerisce”. Firmato Dino Viola. Piccole storie di alta classe. Amen.

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