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  • 1905, la prima volta della Juve: con un portiere che beveva champagne al 45'

    1905, la prima volta della Juve: con un portiere che beveva champagne al 45'

    • Alessandro Bassi
    Vincere il campionato italiano, al tempo dei pionieri del calcio nostrano, significava aggiudicarsi un trofeo, una targa o una coppa, al termine di un torneo ad eliminazione. Tra il XIX° e il XX° secolo erano tanti i tornei di calcio e il campionato – fa strano pensarlo oggi – non aveva più rilevanza di altri, anzi, vi era un trofeo che, possiamo dire così, stuzzicava gli appetiti dei pionieri più del campionato: la prestigiosa – e splendida – Coppa Dapples. Dicevamo del campionato. Ancora erano di là da venire i tempi dello scudetto, del triangolo tricolore da cucire sulle maglie. A quei tempi chi vinceva il campionato si aggiudicava una coppa, la Challenge Cup, inizialmente messa in palio dal Duca degli Abruzzi nel 1898 che sarebbe andata definitivamente a chi avesse vinto per primo tre campionati. Ebbene, quella coppa se la aggiudicò il Genoa, che vinse i campionati del 1898,1899 e 1900. Nel 1901 fu il presidente genoano Fawcus a mettere in palio una nuova coppa, destinata a chi avesse vinto tre titoli consecutivi. Anche quella coppa la vinse definitivamente il Genoa, campione dal 1902 al 1904.

    Con il 1905 per il campionato di calcio cambiava un po' tutto: nuova formula e nuovo trofeo da conquistare. Sei le squadre partecipanti, con una prima fase eliminatoria regionale e una fase finale – quella che avrebbe assegnato la coppa, questa volta messa in palio dal genoano Spensley – strutturata in un mini girone con partite di andata e ritorno. A questo girone finale approdano per la Liguria il Genoa, per la Lombardia l'Unione Sportiva Milanese e per il Piemonte la Juventus. Come detto, il Genoa aveva vinto gli ultimi tre campionati, ma la Juventus aveva giocato – perdendole entrambe – le ultime due finali. Quella del 1905 fu la volta buona per i bianconeri: vinsero agevolmente le due partite contro i milanesi e pareggiarono entrambe le sfide contro il Genoa. 

    Dai tempi della fondazione la squadra juventina era cresciuta, i liceali si erano fatti uomini e dal 1902 erano entrati in squadra i primi stranieri, svizzeri e scozzesi, portando un netto miglioramento. Non solo stranieri, però. 

    Luigi Durante, il portiere pittore. Giunto alla Juventus nel 1901 dalla Società Ginnastica, Luigi Durante fu personaggio di spessore, eccentrico all'inverosimile. Pittore di discreta fama, tanto da aver esposto alla Biennale di Venezia, spesso si presentava vestito completamente di bianco e non disdegnava, tra un tempo e l'altro, qualche calice di buon champagne. Aveva, diciamo così, una visione molto personale del regolamento, tanto che spesso, quando riteneva ingiusto un fischio arbitrale, sventolava il cappellino verso il pubblico chiedendo a gran voce l'opinione degli spettatori. Cose che accadevano quando il pallone rotolava da poco alle nostre latitudini, e la goliardia era componente non di poco peso nelle vicende pallonare.

    Luigi Forlano, muscoli d'attaccante. Stando alle scarne e scarse cronache dell'epoca e ai racconti di chi c'era, quella Juventus era molto “sparagnina”, molto forte in difesa e votata a rapide corse verso la porta avversaria. Non parliamo di contropiede, siamo pur sempre in un tempo dove il football si giocava più “per sentito dire” che non seguendo veri e propri schemi e tattiche e in attacco ognuno per sé purchè si riuscisse a segnare un goal. Però quella Juventus correva, soprattutto il suo centravanti Luigi Forlano, un omaccione alto e forte che aveva come unico scopo sul rettangolo di gioco quello di inseguire il pallone per poterlo scagliare nella porta avversaria. Tutto ciò quando ne aveva voglia, beninteso. Perché quando “era in vena” non ce n'era per nessun avversario, ma quando non ne aveva voglia eran dolori! Sono i suoi stessi compagni di squadra a dircelo, specialmente Bino Hess in un'epica intervista rilasciata a Caminiti all'alba degli anni'60 e Domenico Donna, quest'ultimo ala sinistra juventina dotata di falcata breve e rapida, altruista e – oggi diremmo così – dispensatore di assist. Soprattutto era al tempo laureato in legge e dotato di gran parlantina, peculiarità che lo rendevano indispensabile per i discorsi al culmine dei brindisi. Perchè di goliardia ve n'era parecchia e il calcio all'epoca era ancora puro divertimento. Ovviamente, però, si giocava per vincere e quell'anno juventini e genoani volevano portarsi a casa il titolo di campione d'Italia.

    Ad una gara dal termine, la Juventus aveva 6 punti, il Genoa 4: mancava l'incontro che i genoani avrebbero dovuto giocare contro il fanalino di coda U.S. Milanese, e nessuno metteva in dubbio una vittoria dei campioni in carica e la conseguente partita di spareggio necessaria tra Juventus e Genoa per determinare il campione. Addirittura La Stampa Sportiva dava già per inevitabile lo spareggio! Come sappiamo il dio del pallone è prodigo di colpi di scena e quell'anno non ne fece di certo mancare, così accadde che il 9 aprile il Genoa clamorosamente non andò oltre un pareggio casalingo, non riuscendo quindi a raggiungere la Juventus in testa alla classifica. A chilometri di distanza, la notizia arrivò anche a Torino, dal tam tam del telegrafo sino agli juventini che poterono così brindare ad un sogno inseguito e finalmente raggiunto: per la prima volta la Juventus era campione d'Italia!

    (Alessandro Bassi è anche su http://storiedifootballperduto.blogspot.it/)

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