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  • Addio al 'dottor Frankenstein', campione di scherma e di bontà

    Addio al 'dottor Frankenstein', campione di scherma e di bontà

    • Marco Bernardini
    Nella letteratura cinematografica esistono battute o frasi che hanno fatto epoca sino a diventare autentici motivi di cult. Una è certamente quella pronunciata da Jessica Rabbit, la bellissima e provocante moglie del coniglio più famoso al mondo secondo soltanto al suo “collega” bianco inventato da Caroll per il suo capolavoro “Alice nel Paese delle meraviglie”. Ebbene nel film “Chi ha incastrato Roger Rabbit”, al detective Vailant che le chiede come sia possibile che una femme fatale come lei si sia innamorata di un coniglio Jessica risponde: “Amo e amerò sempre Roger perché mi fa ridere”. Una dichiarazione che è quasi un manifesto esistenziale perché nasconde una grande verità. La capacità, solitamente innata, di trasferire e di infondere allegria nel prossimo è una rara qualità benedetta da Dio e dagli uomini.

    Ieri, negli Stati Uniti, se ne è andato uno di questi maestri del buonumore sano e intelligente. Si chiamava Gene Wilder, figlio di migranti russi fuggiti in America, per anni attore hollywoodiano dopo aver abbandonato per ragioni di sussistenza il suo vero e grande amore che era la scherma. Ottimo atleta era stato anche convocato per far parte della squadra nazionale statunitense con la quale aveva “sfiorato” le Olimpiadi. Ma il destino, per lui, aveva riservato ben altri progetti. Durante una gara a Los Angeles in palestra, tra gli spettatori, c’è il geniale regista Mel Brooks in cerca di un attore di strada che però sapesse tirare bene di spada otre a possedere un “à plomb” divertente e speciale. La vita di Gene Wilder cambierà da così a così e lui diventerà con il tempo una fra gli attori più apprezzati dell’intero str system americano e anche la “Musa” ispiratrice per tutti i film di successo del regista Brooks.

    Il 1974 rimarrà per sempre un anno mitico per la strana coppia di Hollywood. Con il film girato completamente e coraggiosamente in bianco e nero (dovettero produrselo da soli perché le major degli Studios non credevano in quel progetto) con il titolo “Frankenstein Junior” i due geniali amici sbancarono i botteghini di tutto il mondo. Un’opera, esilarante e quantomai originale, che oggi figura al decimo posto nella classifica delle più belle commedie di tutti i tempi realizzate per il cinema. Gene Wilder, affiancato da un memorabile Marty Feldman nei panni di Igor, riuscì a trasformare il terribile e pauroso mostro creato dalla penna di Mary Schelley in un tenero personaggio da favola per grandi e piccini. Impresa che ripeté, qualche anno dopo, portando sullo schermo la figura di Willy Wonka e della sua "Fabbrica di cioccolato". Un mito contemporaneo della comicità elegante e mai sguaiata.

    Toccato lo zenit della popolarità e non essendo un inappagabile Narciso, l’attore decise di tornare alla normalità pur perdendo nulla del suo fascino e delle sue qualità di affabulatore. Soprattutto televisione per i ragazzi e famiglie. Non solo, si riappropriò anche del suo antico e insoddisfatto amore esibendosi come maestro di scherma spesso travestito da clown quando si trattava di portare un pizzico di allegria nelle corsie degli ospedali pediatrici di New York. Poi, dieci anni fa, i primi segnali di quel male che si chiama Alzheimer e che lentamente ma inesorabilmente devasta la mente cancellando il presente e conducendo l’ospite per mano verso il passato più remoto. Fino alla fanciullezza e poi anche più in là. In quel luogo, sconosciuto e magico, dove Gene Wilder ora è libero di sognare dopo averci fatto tanto sognare.

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