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  • Anderson, nel nome di Martin Luther King e Brian Clough: 'Le offese degli idioti non ti devono condizionare'

    Anderson, nel nome di Martin Luther King e Brian Clough: 'Le offese degli idioti non ti devono condizionare'

    • Remo Gandolfi
      Remo Gandolfi
    Rosa Parks rimase seduta, in modo che Martin Luther King potesse iniziare a camminare.
    Martin Luther King camminò, in modo che Barack Obama potesse iniziare a correre.
    Barack Obama corse, in modo che tutti noi neri potessimo iniziare a volare
    .”
     
    Quando Viv Anderson nacque nel luglio del 1956 a Nottingham, figlio di genitori trasferitisi in Inghilterra dalla Giamaica, erano passati esattamente sette mesi da quando Rosa Parks, una 42enne signora di colore di Montgomery in Alabama, decise che non aveva alcuna intenzione di lasciare il suo posto a sedere sull’autobus con il quale stava tornando dal lavoro ad un bianco salito dopo di lei che, come dalle regole vigenti all’epoca, reclamava.
    Quel semplice ma determinato gesto fu l’inizio di un grande cambiamento storico.
    Viv Anderson fece qualcosa di simile.
    Trentadue anni dopo.
    Forse non così radicale e non della portata di quello di Rosa Parks.
    Ma di sicuro scrisse una importante pagina di storia: quella del calcio, inglese in particolare.
     
    Nascere nero in Inghilterra a metà degli anni ’50 non era certo come negli stati del sud degli USA, ma di sicuro non era neppure una passeggiata.
    Non lo era a Londra, ovviamente la prima ad accogliere i flussi migratori dai paesi del Commonwealth, e lo era ancora meno una piccola città come Nottingham nel centro dell’Inghilterra.
    E’ in quel contesto che il 29 luglio del 1956 nasce Viv Anderson.
    E’ un bambino sveglio, vivace e portato per qualsiasi sport decida di praticare.
    Ha un baricentro molto alto, due gambe lunghe e affusolate che lo rendono imbattibile nella corsa e nei salti.
    Ma Viv ha una sola, grande passione: il football.
    Paradossalmente è proprio nel calcio che ci sono i dubbi più grandi sullo sviluppo del suo potenziale proprio per questo fisico particolare, questo stile dinoccolato e un po’ incerto che lo rendono molto somigliante al cerbiatto Bambi di Walt Disney.
    Il piccolo Viv però non ha un dubbio al mondo.
    Ama giocare a calcio e il calcio è l’unico sport nel quale intende cimentarsi sul serio.
    Crescendo e formandosi fisicamente le sue doti risultano evidenti a tutti.
    E così sono in pochi quelli che rimangono sorpresi dal fatto che il Manchester United offra al longilineo ragazzo di Clifton, antico villaggio alle porte di Nottingham, un anno di contratto nel suo settore giovanile.
    Per Viv è un sogno che si avvera.
    Non solo perché il calcio professionistico sta per diventare una realtà, ma perché è proprio il Manchester United, squadra per cui fa un tifo sfegatato, a manifestare un così importante interesse nei suoi confronti.
    Al termine di quella stagione nelle giovanili dei “Red Devils” però arriva la grande delusione: ad Anderson non viene offerto il rinnovo del contratto.
    Torna a Nottingham, finisce (con merito) la scuola ed inizia a lavorare in una stamperia.
    Dopo poche settimane però fa il suo ingresso nelle giovanili del Nottingham Forest e a 18 anni è già entrato stabilmente in prima squadra.
    E’ agilissimo, forte nel gioco aereo, ha piedi educati e poi quella peculiarità assoluta di riuscire, grazie alle sue lunghissime leve, a strappare palloni su palloni dai piedi degli avversari che sembravano impossibili.
    In Inghilterra però la parola “integrazione” è ancora praticamente sconosciuta.
    C’è sempre qualche idiota nel pubblico che offende, insulta o fa battute su quella “scimmia con le gambe lunghe”.
    D’altronde più o meno in quel periodo la scena politica inglese aveva posto anche per personaggi squallidi come il deputato ultraconservatore e xenofobo Enoch Powell che invocava conflitti sanguinosi ed epocali in Europa per la difesa della razza bianca o come un altro deputato dei Tory,  un certo Peter Griffiths che impostò la sua campagna elettorale con lo slogan “se vuoi un negro come vicino di casa allora vota Partito Laburista”.
    “Non ho mai fatto caso agli insulti, agli sberleffi e alle offese del pubblico. Né da ragazzo e neppure quando arrivai in prima squadra al Forest. Prima ero un ragazzino di Nottingham che sognava di giocare nella squadra della sua città e in seguito un calciatore professionista che sognava di giocare per la nazionale del suo paese” ricorda Viv Anderson ad ogni occasione.
    Nel gennaio del 1975 arriva la svolta.
    Per Anderson, per il Nottingham Forest e per la storia del calcio inglese ed europeo.
    Sulla panchina degli “arcieri” si siede Brian Clough, reduce dai trionfi con i rivali storici del Derby County.
    Clough ha le idee estremamente chiare su come il suo team deve giocare e su quello che ognuno dei suoi singoli giocatori deve fare in campo.
    Oltre alle grandi doti fisiche Viv Anderson ha un’altra prerogativa fondamentale per convivere con il vulcanico manager di Middlesbrough: l’umiltà.
    Anderson ascolta e impara.
    Racconta che spesso è vittima dei rimbrotti di Clough per qualche movimento sbagliato o qualche distrazione ma non va mai in polemica.
    Affina il suo gioco ed è lo stesso Clough che stimola Anderson a sfruttare la sua bravura in fase di spinta, la sua capacità di cross e di andare anche al tiro, di piede e di testa.
    A lui lascia quelle libertà che invece sono vietate al terzino sulla fascia opposta (Frank Clarke) al quale Clough ricorda sempre che “davanti a te su questa fascia c’è un GENIO. Per cui appena ti ritrovi la palla tra i piedi tu passala a lui. E poi tornatene buono buono in difesa”.
    Quel “genio” è John Robertson, il “Van Gogh” del Nottingham Forest per il quale Clough avrà sempre un trattamento preferenziale.
    Con Anderson Clough affronta, nel suo inconfondibile stile, il problema razzismo.
    “Figliolo se lascerai che le urla e le offese di quegli idioti condizionino il tuo gioco vorrà dire che al tuo posto farò giocare un altro”.
    Non accadrà mai.

    Il Nottingham intanto conquista al termine della stagione 1976-1977 la promozione in First Division.
    La squadra creata dalla premiata ditta “Clough & Taylor” è di grande qualità, equilibrata e con il giusto mix tra gioventù ed esperienza.
    Ma nessuno, neppure il più ottimista fra i tifosi del Forest può immaginare quello che succederà nelle tre stagioni successive.
    Nella prima arriverà il titolo di Campione d’Inghilterra e nelle due stagioni successive i consecutivi trionfi in Coppa dei Campioni.
    Fin dalle prime partite nella massima serie inglese è evidente a tutti che in quel Nottingham Forest c’è organizzazione, disciplina e una “mano” importante in panchina.
    Ma c’è anche tanta qualità.

    Peter Shilton in porta, lo scozzese Kenny Burns a dirigere il reparto arretrato, John Mc Govern (uno dei pupilli di Clough fin dai tempi dell’Hartlepool, prima squadra allenata dall’ex numero 9 di Sunderland e Middlesbrough) a centrocampo, il suddetto “genio” John Robertson sulla fascia sinistra e il giovane attaccante Woodcock a guidare il reparto offensivo.
    E c’è anche lui, Viv Anderson che sta emergendo come uno dei terzini più completi di tutta la First Division.
    Quando arriva la sua convocazione in Nazionale per un’amichevole contro la Cecoslovacchia a Wembley però la sorpresa è comunque tanta.
    Sorpresa che aumenta sensibilmente quando Ron Greenwood, selezionatore degli inglese, annuncia Viv Anderson tra i titolari.
    Sarà il primo “colored” (così venivano chiamati i neri all’epoca) a vestire la casacca bianca dei Leoni d’Inghilterra.
     
    Nonostante Ron Greenwood faccia di tutto per rendere la cosa la più normale possibile (“non c’è niente di politico in questo. E’ solo un altro calciatore che merita di giocare per la Nazionale del suo paese”) lo scossone sui media e fra l’opinione pubblica è notevole.
    Il rigurgito xenofobo è al solito bieco e violento.
    Minacce ad Anderson, a Greenwood e alla Federazione.

    Ma esiste un’altra Inghilterra, più aperta e progressista con lo storico “Guardian” a fare da prima cassa di risonanza di quella che è a tutti gli effetti una conquista.
    In fondo era solo una questione di tempo.
    Se non fosse toccato a Viv Anderson sarebbe stato uno dei due fantastici attaccanti del West Bromwich Albion Cyrille Regis o Laurie Cunningham (quest’ultimo il primo a vestire la magia dell’Under 21) tanto i tempi erano ormai maturi e diversi calciatori di colore stavano emergendo nella First Division di quegli anni.
    Viv Anderson in Nazionale giocherà trenta partite ma senza mai riuscire veramente a fare sua la maglia numero due dei Leoni d’Inghilterra dovendo competere con antagonisti del valore di Phil Neal, Mick Mills e Gary Stevens.
    Nel 1984 Viv Anderson chiuderà la carriera al Nottingham Forest approdando all’Arsenal, dove ritroverà l’amico Tony Woodcock, vincerà una Coppa di Lega nel 1987 giocando sempre ad altissimi livelli.
    Poche settimane dopo la conquista del suo primo e unico trofeo con i Gunners londinesi arriva la chiamata più lieta e al contempo inattesa: il Manchester United del nuovo allenatore Alex Ferguson lo vuole tra le proprie fila.
    Anderson è il primissimo acquisto del manager scozzese appena approdato all’Old Trafford dopo i trionfi nella natia Scozia con l’Aberdeen.
    Dopo un paio di stagioni ad alto livello Anderson le sue chance in prima squadra si riducono sensibilmente e quando per la finale di FA CUP del 1990 vede preferirsi la giovane mezzala Paul Ince nel posto di terzino destro capisce che ormai all’Old Trafford ha fatto il suo tempo.
    Lo United lo lascia libero e a quasi 35 anni si potrebbe pensare che la sua carriera ai vertici sia ormai agli sgoccioli.
    Ma Viv Anderson, ancora assolutamente integro fisicamente, è pronto per l’ennesima sfida.
    Allo Sheffield Wednesday c’è Ron Atkinson che gli offre il ruolo di leader di un team che sta lottando per tornare in First Division dopo l’inopinata retrocessione della stagione precedente.
    Non solo i “Gufi” dello Yorkshire riusciranno nell’impresa ma riusciranno a mettere in bacheca anche la Coppa di Lega vinta in finale proprio contro il Manchester United … anche se Viv Anderson potrà fare solo da spettatore essendo già sceso in campo nella stessa competizione con i Red Devils in uno dei primi turni.
     

    Anderson, nel nome di Martin Luther King e Brian Clough: 'Le offese degli idioti non ti devono condizionare'
     
    ANEDDOTI E CURIOSITA’
     
    Se è vero che la stagione nelle giovanili del Manchester United non andò come nelle aspettative di Viv Anderson è altrettanto vero che il ricordo di quel periodo rimarrà indelebile per Anderson, tifosissimo dei Red Devils.
    “Finito il nostro allenamento mentre i miei compagni andavano a farsi la doccia per poi tornare a casa io andavo nel campo di fianco dove si allenavano Best, Law e Charlton. Rimanevo incantato a guardarli e speravo solo di poter giocare un giorno con loro”.
     
    “A fine anni ’70 non era affatto facile giocare in First Division per un “colored” come ci chiamavano all’epoca” ricorda lo stesso Anderson.
    “I tifosi avversari oltre alle offese personali ci lanciavano di tutto, banane e noccioline in particolare. Io cercavo di non farci caso ma quello che mi faceva più arrabbiare non erano quelle poche decine di idioti che facevano queste cose … era il silenzio e l’accettazione di tutti gli altri”.
     
    Viv Anderson ha avuto come manager due dei più grandi in assoluto della storia del calcio: Sir Alex Ferguson e Brian Clough.
    “Non chiedetemi di scegliere il migliore. Erano semplicemente due manager eccezionali tra l’altro molto simili come approccio tattico e gestione dello spogliatoio” racconta Anderson.
    “Posso dire che incutevano molto rispetto nei propri calciatori e che con loro le regole erano chiare e inequivocabili.
    Aggiungo che essere al centro di una delle loro sfuriate non era certo piacevole !”
     
    Con Clough Anderson ebbe un rapporto eccezionale e l’ex terzino della nazionale inglese è il primo a riconoscere i meriti del carismatico manager di Middlesbrough nella sua formazione di calciatore e di uomo.
    “Ti spiazzava continuamente. .Da lui non sapevi mai cosa aspettarti. E questo ti faceva sempre stare concentrato al massimo. Giocavi una buona partita e ti riprendeva duramente per l’unico errore che avevi fatto nei novanta minuti oppure dopo una giornata disastrosa era capace di tirarti su con una delle sue battute tipo “Beh, tranquillo Viv. La prossima volta andrà meglio … anche perché giocare peggio di come hai fatto oggi è impossibile !”.
     
    Uno degli aneddoti più divertenti della carriera di Anderson riguarda Justin Fashanu, costosissimo acquisto del Nottingham Forest e ragazzo con tante fragilità. (morì suicida a 37 anni e fu il primo calciatore di fama mondiale ad ammettere la propria omosessualità).
    Il Nottingham è in ritiro a Marbella.
    Justin Fashanu e Viv Anderson sono in camera insieme.
    Alle due di notte l’albergo intero si sveglia di soprassalto a causa dei rumori provenienti proprio dalla camera dei due calciatori del Forest.
    Quando i compagni di squadra, lo staff del Nottingham e il personale dell’albergo arrivano nella stanza dei due trovano la porta distrutta e Fashanu in bagno che si sta lavando le mani piene di sangue.
    Anderson è ancora a letto, con le lenzuola tirate su fino al naso e gli occhi sbarrati.
    Si scoprì in seguito che il povero Fashanu aveva avuto un incubo e aveva distrutto la porta della camera a pugni e calci.
    “Non ricordo di aver mai più preso una paura simile in vita mia !” racconta oggi divertito Anderson.
     
    Infine la personale classifica dei giocatori più forti con i quali Viv Anderson ha condiviso uno spogliatoio.
    “Bryan Robson è stato il migliore di tutti. Uno dei calciatori più completi della storia. Aveva tecnica, corsa, forza fisica, visione di gioco e faceva anche un sacco di gol” afferma senza titubanze Anderson.
    “In quanto a talento puro il più bravo era Glenn Hoddle. Mai più visti due piedi così !”
    “E poi Peter Shilton tra i pali. Negli anni d’oro del Nottingham Forest non c’era un portiere più forte di lui al mondo”
     
     

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