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  • Bernardini: come si diventa giornalisti

    Bernardini: come si diventa giornalisti

    Tra un poco sarà Natale. Mi piace pensare di potervi fare un regalo. A tutti voi viaggiatori della Rete, ma soprattutto ai tantissimi ragazzi i quali per il loro futuro sognano di fare i giornalisti. Una professione che, negli ultimi anni, è cambiata parecchio ma che, in ogni caso, mi pare di capire continui ad affascinare e stimolare le giovani menti.

    Dunque un articolo diverso dal solito, concordato con l’editore e con il direttore di Calciomercato.com, perché ciascuno di noi è convinto che un anche un "sito" sportivo al pari di un quotidiano non debba essere un cassonetto dentro il quale è possibile infilare ogni tipo mercanzia semmai un "luogo" di ritrovo dove, come accadeva nelle antiche "agorà", è doveroso soffermarsi a ragionare su temi più importanti rispetto a quelli che sono rappresentati dal quotidiano show del pallone o dello sport in generale. Un impegno per i nostri figli che saranno le donne e gli uomini di domani.
     
    Esistono vari tipi di giornalismo. Quelli catalogati sotto la voce "generi". Politica, cronaca, spettacoli, sport, società e costume. Sono le specializzazioni. In realtà esiste un solo modo per diventare e poi essere giornalisti. Il punto di partenza è unico per tutti: studiare, studiare e ancora studiare. Il che non significa imbottirsi di nozionismo, ma di lasciarsi sedurre completamente dal fascino della Storia. Ignorando il passato, anche quello remoto, non è possibile interpretare il presente e né progettare il futuro.

    Innalzato questo muro maestro si passa alla messa in opera delle colonne portanti. Non tantissime, ma solidissime. La curiosità, intanto. Non la figlia del pettegolezzo, ma dell’intelletto. La modestia come repellente al rischio mortale di sentirsi bravi e arrivati a prescindere. Il senso critico e quello della misura nelle valutazioni. Il rispetto volterriano del pensiero altrui anche se è contrario al nostro. Il dubbio che ci spingerà a verificare più volte prima di scrivere. La semplicità montanelliana di linguaggio che consentirà a tutti di capire cosa vogliamo dire. La massima attenzione all’uomo prima ancora che al “fatto” perché la cronaca è determinata dalle persone che non vanno ferite per nessuna ragione. Lo spogliarsi dall’insano desiderio di pontificare dall’alto. Evitare di dire “io”, usare sempre “noi”. L’umiltà di ammettere errori ed omissioni durante il cammino e di accettare lezioni da chi quella strada l’ha già percorsa. Scendere sui marciapiede, tra la gente e per la gente. Seduti a una scrivania con davanti il computer è impossibile vedere e sapere che cosa realmente accade fuori. Infine non guasta anche un fisico bestiale per poter reggere gli urti di una esistenza quotidiana usurante, stressante, nomade, senza orari e famiglia a rischio, magari anche un poco viziata o poco igienica e sostanzialmente da matti.

    Detto ciò, vista la nostra utenza, è bene scendere nello specifico del giornalismo sportivo. Personalmente ci sono arrivato dopo varie esperienze maturate prima in "cronaca" e poi agli "esteri" nel più antico quotidiano italiano, la "Gazzetta del Popolo" di Torino. Una scuola esemplare con maestri eccezionali tipo Giorgio Bocca e Giorgio Vecchiato. Poi a "Tuttosport", per trentacinque anni come inviato speciale, provvisto di quel bagaglio extra-calcistico che mi permetteva di osservare anche oltre un campo di pallone. Ora, in pensione ma ancora "malato" di giornalismo (non si guarisce mai), pendolo tra "La Repubblica" e "Calciomercato.com”. Ebbene, alla fine della fiera, posso dire tranquillamente che il giornalismo sportivo (insieme a quello della cronaca nera) è talmente formativo e completo da permettere di potersi occupare senza paura di qualsiasi altro argomento.

    E dire che quando iniziai i colleghi dello sport venivano osservati e giudicati con un certo sospetto professionale quasi fossero professionisti di Serie B destinati a raccontare le storie di puzza piedi ignoranti che correvano dietro a un pallone. Un dolore per Brera, Arpino, Concogni, Palumbo, Cucci, Caminiti, Sconcerti, Dardanello, Baretti e tanti altri "scrittori" veri quasi mai presi sul serio. Vabbè oggi è cambiata la musica, fino a diventare talvolta troppo violenta e fracassona frutto delle bombe biscardiane, perché è cambiato lo sport. Per scrivere di calcio è necessario intendersi anche di economia, di finanza, di politica, di religione, di psicologia, di sociologia, di costume e di società oltreché, purtroppo, di cronaca nera. E’ tutto, anche se occorrerebbe un libro per definire meglio questa bellissima professione tanto speciale da essere unica.

    E come diceva Humphrey Bogart nella parte di un direttore di giornale che in prima pagina denunciava la corruzione dei poteri forti di Chicago: "That’s the press, baby". E’ la stampa, ragazzi!


    Marco Bernardini

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