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  • Conte-Napoli, sembrerebbe un matrimonio perfetto ma...

    Conte-Napoli, sembrerebbe un matrimonio perfetto ma...

    • Simone Eterno
      Simone Eterno
    Prima di questa sciagurata stagione, alla voce "allenatori" Aurelio De Laurentiis aveva sbagliato ben poche mosse. Basta leggere i nomi passati sulla panchina del Napoli e associarne cammini e risultati.

    Da Edi Reja, che aveva riportato in Serie A il rinato Napoli di ADL a Walter Mazzarri, che l'aveva trasformato in una squadra di vertice, una società da coppe europee. Rafa Benitez, in egual modo, aveva portato a uno step successivo, dando una dimensione diversa ai partenopei; se non altro per il pedigree di allenatore, uomo passato prima da Liverpool e poi da Madrid. La sua presenza aveva contribuito a portare a Napoli un certo tipo di giocatori. Uno su tutti: Gonzalo Higuain. Maurizio Sarri era poi stata la più clamorosa delle intuizioni. Dalla provincia per portare un calcio brillante, a tratti forse uno dei più divertenti d'Europa. Senza clamorosi trionfi, certo, ma dimostrando al mondo - e anche a se stesso - che pur senza il budget dei colossi si potevano comunque toccare vette importanti. Seguirono Carlo Ancelotti - probabilmente unica vera delusione in questo filotto di successo - e Gennaro Gattuso, da troppi catalogato come 'flop' a fronte di una valutazione, sull'ex campione del mondo, in cui pesa di più una partita - Verona, 38a giornata - che la reale qualità del lavoro svolto. No, la scelta Gattuso a Napoli non fu un vero e proprio fallimento; e in ogni caso il successivo in lista, Luciano Spalletti, sarebbe stato colui che alla fine avrebbe riscritto la storia. L'ampio e necessario preambolo è insomma funzionale allo sviluppo della tesi.

    Prima di questa stagione, in panchina, Aurelio De Laurentiis non aveva sbagliato un colpo. Rudi Garcia, il ritorno di Mazzarri e il tentativo disperato di metterci una pezza che risponde al nome di Francesco Calzona, a dimostrare che l'infallibilità non è caratteristica umana e che la legge dei grandi numeri esiste eccome: qualsiasi buona serie è destinata, prima o poi, a terminare. Ecco perché l'interrogativo, necessario, visto il recente sviluppo degli eventi, è esattamente l'opposto: il Napoli riuscirà a ripartire?

    Aurelio De Laurentiis sa di essere finito spalle al muro.
    Da un lato si troverà in estate con i fuoriclasse che busseranno alla porta - Osimhen l'ha già fatto da tempo, Kvara ha già lanciato qualche segnale qua e là - e la necessità di far convivere due entità, nel pallone contemporaneo, terribilmente contrastanti: scarso budget e grandi ambizioni. Per giunta in una piazza bollente. Ed è da questi ultimi tre concetti che balena il nome di Antonio Conte. Nell'epoca recente infatti nessuno ha fatto meglio dell'allenatore pugliese quando si è trattato di estrarre, come una centrifuga, quanto di più possibile dal materiale umano a disposizione. Qualsiasi esso fosse.  

    È stato Conte a fondare il ciclo della Juventus di Agnelli quando gli esterni si chiamavano Pepe, De Ceglie ed Estigarribia.

    È stato Conte a rendere competitiva una delle Nazionali più povere di talento dell'epoca recente (il consiglio è di andarvi a rileggere la formazione titolare dell'Italia, dal centrocampo in su, che a Bordeaux, nel 2016, porta ai calci di rigore la Germania campione del mondo in carica). 

    È stato Conte a vincere completamente contro pronostico una Premier League col Chelsea, rivitalizzando esuberi in stile Victors Moses, giusto per citare una delle più clamorose delle pedine chiave di quella squadra.

    È stato Conte a far fare il salto definitivo all'Inter di Zhang, da lì in poi passata da 'squadra da risultati' a 'squadra campione'. Il tocco magico del pugliese è insomma cosa ormai risaputa, tratto comune delle sue esperienze in giro per l'Italia e l'Europa.

    "Mi si chiede spesso di mettere a posto le squadre", disse una volta in conferenza stampa. Più semplicemente, Conte, appartiene a quella cerchia ristretta di 'ingegneri'. Allenatori che, a differenza dei 'designer' - visto che a Milano si avvicina la settimana del Salone - non si limitano a spostare qua e là mascherando i problemi; no, la casa la buttano giù e la ricostruiscono dalle fondamenta. Molto spesso assai solide.

    Aurelio De Laurentiis questo l'ha capito eccome. Sa che a questo Napoli non basta più un mano d'intonaco. Tocca ricostruire da capo la baracca. Ed è per questo che corteggia, già da gennaio, il salentino. Dal suo punto di vista Conte ha prima rifiutato e rispedito al mittente, dicendo "mai una squadra in corsa"; ma sta anche iniziando a intuire che 'l'hype' attorno al suo nome va scemando, se non è addirittura del tutto esaurito. L'ultima avventura inglese, al Tottenham, ne ha ridimensionato figura e ingaggio. Conte è arrivato con la fama di 'aggiustatutto' e non è riuscito, per una volta, nell'impresa. Fallendo sì dove in sostanza hanno fallito tutti nella storia (Pochettino escluso), ma al tempo stesso 'bruciandosi' anche il mercato. In una Premier che 5 anni dopo si era ulteriormente evoluta per qualità, e maturata sotto il punto di vista dei tecnici in panchina, la ricetta di Conte si era fatta stantia.

    E così, in eterna attesa di una nuova chiamata europea o meglio ancora di una seconda chance alla Juventus - spoiler: non arriverà nemmeno a questo giro - al momento a Conte è rimasto poco. O la pensione in Arabia - offerta rispedita al mittente - o ripartire da una piazza importante sì come Napoli, ma non di 'arrivo' come il diretto interessato sente ancora di meritare.

    Fin qui, se ci pensate, il matrimonio sembra perfetto. Una piazza calda e ambiziosa, una squadra reduce da una stagione disastrosa ma con sicure qualità tecniche, la voglia di rivincita di un allenatore finito un po' in sordina. Perché allora tra Napoli e Conte non dovrebbe funzionare? La risposta è semplicissima: incompatibilità assoluta tra l'istrionica figura del presidente padrone che mette il naso in tutto e un tecnico orgoglioso dalla lingua lunga. Aurelio De Laurentiis e Antonio Conte sono come acqua e olio. Due liquidi che non legano. Due personalità troppo forti, troppo testarde, troppo intransigenti per scendere a volte a patti, caratteristica comune e inevitabile per qualsiasi matrimonio di successo. ADL è riuscito a lasciarsi male con tutti, persino con colui che ha riscritto la storia. E sulle sue sparate nei confronti dei suoi dipendenti, anche nei momenti chiave della stagione, si potrebbe scrivere un longform. Sarebbe anche divertente farlo.

    Antonio Conte invece è l'uomo che lasciò la Juventus all'inizio di un clamoroso ciclo perché ai primi di luglio capì che non sarebbe arrivato Cuadrado. È l'uomo delle punzecchiature a Marina Granovskaia, figura che dirigeva il Chelsea su mandato diretto del big boss Roman Abramovich; o allo stesso Zhang e dirigenza dell'Inter. Ricordate il famoso incontro 'in villa' per provare a ricucire le cose. Al di là degli episodi del passato, Antonio Conte è semplicemente un uomo senza peli sulla lingua e con la scarsa propensione al compromesso.

    Chissà se le necessità di entrambi - De Laurentiis con l'enorme bisogno di uno come Conte e Conte con niente di meglio che il Napoli - li porteranno davvero a unirsi in matrimonio. Non ci sorprenderebbe però se finisse già alle firme.

    "Antonio, firmi in blu, eccole la penna", affermerebbe De Laurentiis.

    "No, presidente, io ho sempre firmato in nero e uso la mia", risponderebbe Conte.

    "Guardi, se non firma in blu può tornarsene a casa", incalzerebbe ADL.

    "Grazie e arrivederci", sarebbe la risposta di Conte.

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