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  • Da Meazza a Eto'o:| Inter addio senza salutare

    Da Meazza a Eto'o:| Inter addio senza salutare

    Da Meazza a Eto’o, quando lasciarsi è un problema.
    Quegli strani addii nerazzurri: gente che scappa senza salutare.
    Lasciamoci così, ma con rancore. Da Meazza a Eto’o passando da Ronaldo, la storia dell’Inter è costellata da addii sofferti, amori traditi, ferite mai del tutto rimarginate. Samuel Eto’o se ne va senza nemmeno dire ciao, dopo due stagioni di passione, gol e successi, incantato dai dollari—tanti d’accordo—del Caspio. Solo poche settimane fa Leonardo, uno dalle idee chiare, aveva lasciato la panchina nerazzurra senza nemmeno il tempo di scaldarla, dopo l’esperienza rossonera che doveva essere «definitiva» salvo poi preferire Parigi, o meglio gli sceicchi del Paris Saint-Germain, a Milano. Ma se Leo resta una sorta di alieno che compare e sparisce dall’orizzonte interista senza lasciare traccia (addirittura meno di Benitez, nonostante la Coppa Italia), c’è una presenza che ingombra ancora i sogni dei tifosi nerazzurri: Mourinho, quello che non era un «pirla», quello che ha vinto tutto in una sola stagione, quello che dopo aver conquistato a Madrid una Champions League che mancava da 45 anni non tornò nemmeno aMilano, restò lì, al Real, giustificando la scelta con poche parole spietate: «L’Italia non è un posto adatto a me».

    Diverso il commiato a Gigi Simoni, allenatore gentile e preparato, vincitore della Coppa Uefa 1998. Era in autostrada, tornava da Coverciano dove aveva ricevuto il premio «panchina d’oro» ed era reduce dalle vittorie col Real Madrid in Champions League e con la Salernitana in campionato. Lo raggiunse la telefonata di Moratti («Mi dispiace, il gioco non migliora») che lo licenziò in corsa. Arrivò Lucescu, poi Castellini, poi Hodgson e infine Lippi che il 2 ottobre ’98 perse sul campo della Reggina e commentò: «Fossi il presidente, innanzitutto manderei via l’allenatore». Detto fatto. In quell’Inter giocava tale Ronaldo un giocatore gigantesco deturpato dagli infortuni al ginocchio destro che lo tennero fuori complessivamente più di un anno e mezzo: Moratti se lo coccolò in attesa del suo ritorno. Ma il pianto disperato di «quel» 5 maggio 2002 (sconfitta con la Lazio e scudetto alla Juve) è l’ultimo fotogramma della sua storia nerazzurra. Il brasiliano, guarito, scappò al Real— cinque stagioni—per poi ricomparire come niente fosse con la maglia del Milan, andando in gol anche nel primo derby, l’11 marzo 2007.

    Moratti reagì in tribuna con un turpiloquio senza precedenti. Pensare che Prisco aveva definito Ronaldo il più grande di sempre paragonandolo a Meazza: ma lui, il Balilla, quando lasciò l’Ambrosiana Inter dopo 11 stagioni e 200 gol, firmò per il Milan (allora Milano per disposizione fascista) con le lacrime agli occhi e quasi giustificandosi con il popolo nerazzurro: sono vecchio e ho bisogno di soldi per vivere, nell’Inter non avrei più spazio. Un’uscita di scena più elegante di quella di Ronie, Vieri, Adriano, Balotelli. E soprattutto di Ibrahimovic che lasciò l’Inter dicendo: «Ho voglia di Champions e qui non la vincerò mai». Via lui, ecco la Coppa.


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