Essere o non essere gay nel calcio: un viaggio nello sport più omofobo di tutti
Il distinguo fra la pubblica dichiarazione della propria omosessualità e la scelta di mantenerla riservata costituisce il dilemma con cui ogni atleta di diverso orientamento sessuale deve fare i conti. Ovviamente il diritto alla riservatezza è sacrosanto, ma è anche difficile che la scelta di non dichiararsi omosessuali sia davvero la migliore possibile in termini di equilibrio con se stessi. Più spesso è soltanto il compromesso reso necessario dalla necessità di non affrontare il pregiudizio generalizzato. In questo senso è ancor più istruttiva la vicenda del rugbista gallese Gareth Thomas, che fece coming out nel 2009 e poi pubblicò ua bellissima autobiografia intitolata “Proud”. L’intervista rilasciata qualche anno fa da Thomas all’Equipe Magazine rimane un documento straordinario. Durante la chiacchierata col giornalista del magazine francese Thomas confessa di essere giunto a desiderare la morte, durante il periodo in cui si sforzava di tenere nascosta la propria omosessualità. E che soltanto a quel punto, grazie al richiamo di una grande voglia di vivere, ha capito di doversi liberare del peso del segreto.
In quella stessa intervista Thomas risponde a una domanda sull’omofobia che impera nel mondo del calcio, e che continua a rendere quasi impossibile a un calciatore gay l’atto di fare coming out: “La differenza [fra il calcio e il rugby] è enorme. Adoro il calcio, assisto a molte partite e ascolto molte frasi che dalle tribune vengono indirizzate ai giocatori. Se quegli stessi tifosi dicessero quelle cose per strada, verrebbero arrestati. I calciatori che non sono gay, ma sono amici dei loro colleghi gay, non prendono posizione rispetto a tutto ciò che sentono durante i novanta minuti, tutti i fine settimana”.
Dunque, secondo Gareth Thomas sarebbe innanzitutto una mancanza di solidarietà da parte dei colleghi etero a far desistere i calciatori gay dal dichiararsi. Ma ovviamente ci sono molte altre ragioni, tutte difficili da indagare ma concorrenti nel fare del calcio uno dei mondi più machisti e omofobi in cui possa capitare di trovarsi. La vicenda di Justin Fashanu, che dopo aver compiuto il coming out si ritrovò isolato e entrò in depressione fino al suicidio, rimane un memento. E in Italia, di tanto in tanto, continua a saltar fuori qualcuno che nega l’esistenza dell’omosessualità nel calcio. Un tabù difficilissimo da abbattere, specie nell’epoca dei commendatori Tavecchio e Belloli.
@pippoevai