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  • Fattore 'C':| Dea bendata oggetto di studi

    Fattore 'C':| Dea bendata oggetto di studi

    Il gol fantasma di Muntari a Buffon nello scorso campionato? Casualità. La mano in area del genoano Granqvist su cross di Lichtsteiner? Pura fatalità. Il braccio malandrino di Floccari nel gol all'Atalanta? Colpa del destino. Il fuorigioco di El Shaarawy che ha regalato il pareggio milanista a Catania? Un intervento della Dea Bendata, Già, la Dea Bendata, la benedetta fortuna eredità degli antichi romani che la consideravano una divinità o la maledetta sfortuna che nessuno si sognerebbe mai di adorare. Anche il calcio non si sottrae a questo rito pagano, alla ricerca del «fattore F» inteso come concretezza e non in senso empirico. Ci prova un illustre docente di Scienze politiche dell'Università di Milano. Il professor Luigi Curini che ha approntato uno studio su quanto conta la fortuna nel calcio.

    «Personalmente ho la ricetta: tutto quanto è casuale, aleatorio, quello che oggi c'è e domani non c'è, lo stesso caos, sono l'espressione della fortuna», afferma il 40enne professore di fede interista. Perché, a suo dire (ma lo diciamo anche noi), il calcio è imprevedibile, troppo monotono ripetere che la palla è rotonda e allora la fortuna ha un ruolo decisivo. La domanda viene spontanea: quanto? «Di oltre il 40% – precisa Curini – e vuol dire che su 10 partite settimanali di serie A, 4 sono determinate dalla sorte, la botta di fondo schiena, insomma».

    Nello studio viene calcolata l'incidenza del fato nei campionati di A dal 1946 a oggi, con l'utilizzo di una metodologia statistica impiegata negli sport professionistici americani.
    E si scopre, udite udite, che il fattore «fortuna» negli ultimi 66 anni ha pesato in media per il 42%, come se poco meno della metà delle partite disputate dal dopoguerra a oggi fosse stata decisa dal caso. La bravura o la broccaggine contano, ma la fortuna la fa da padrona e per elaborare la percentuale da attribuirle viene calcolata la distribuzione effettiva delle vittorie di un campionato e la si confronta con il dato statistico che risulterebbe se a decidere ogni incontro fosse il lancio della moneta. E allora si scopre che la Juve di Conte ha vinto un anno fa con il 38% di fortuna, mentre nel 1956/57 la buona sorte ha deciso il 75% degli incontri del Milan campione (con Buffon, Liedholm, Schiaffino, Bean); la Lazio di Chinaglia e Maestrelli nel 1974 si è limitata al 40% e il miracoloso Verona di Bagnoli nel 1985 era balzato al 45%. E nell'anno di calciopoli, la strabordante Juventus di Moggi aveva ottenuto un misero 20% di aiuto dalla Dea Bendata: troppo evidente la superiorità sul campo dei bianconeri, con la fortuna che poteva starsene in ferie.

    Statistiche, numeri, coordinate e calcoli che, secondo Curini, dimostrano come un evento sportivo si vende soprattutto in relazione alla qualità dei contendenti e all'incertezza sul risultato finale. Ma ci sono anche elementi negativi che contribuiscono a rendere i campionati più scontati: il calo degli spettatori, l'aumento dei club partecipanti al torneo, i tanti stranieri, gli stadi obsoleti, le partite godibili in tv sul divano di casa, l'introduzione dei diritti tv con una distribuzione diseguale: i più forti e i più ricchi hanno cominciato a vincere sempre più spesso. Anche all'estero, in Spagna, Germania, Inghilterra e Francia il peso della fortuna è andato via via calando, anche perché i club sono incentivati ad avere nel proprio campionato sempre meno equilibrio per massimizzare la chance di entrare in Champions, dove i soldi girano, eccome. Ecco allora l'equazione perfetta: fortuna uguale denaro, la Dea dell'antica Roma e il Dio soldo a braccetto.


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