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  • Ferrero, il sig. nessuno: la Samp sognava con 'la Nutella', ma era il veleno del Viperetta. Vialli la salvezza

    Ferrero, il sig. nessuno: la Samp sognava con 'la Nutella', ma era il veleno del Viperetta. Vialli la salvezza

    • Renzo Parodi
    Quel 12 giugno 2014, sette anni e mezzo fa, un gruppetto di tifosi della Sampdoria stazionava davanti all’ingresso dell’Hotel President, a due passi dalla stazione Brignole. In mattinata in città si era sparsa la voce: “Garrone ha venduto la Sampdoria”. A chi? “A Ferrero”, rispondevano i bene informati, quelli con le talpe in società. Ferrero? “Sì quello del cioccolato.” “Allora siamo a posto. Torneremo grandi. Lo scudetto non sarà una chimera”, festeggiavano i tifosi. L’attesa per il nuovo proprietario della Sampdoria si concluse a mezzogiorno e mezzo. Nella sala messa a disposizione dall’hotel comparve Edoardo Garrone, il figlio di Riccardo, che aveva rilevato la Sampdoria nel 2002, salvandola dal fallimento al quale l’aveva condannata Enrico Mantovani. Edoardo, il primogenito di Riccardo Garrone, era diventato presidente dopo la scomparsa del padre, nel gennaio 2013. Lo seguiva un piccoletto con un cespuglio di capelli grigi arruffati che avanzava alzando le braccia in segno di vittoria, come un pugile che ha appena steso l’avversario ed è padrone del ring. Ferrero? Quello del cioccolato? Quello della Nutella, onesto peccato di gola di grandi  piccini? Macché. Quel tizio di corta statura era Massimo Ferrero, produttore cinematografico, si presentò così. Nessuno in sala sapeva chi fosse. Neppure i cinefili. Garrone lo introdusse con queste parole. “Lascio la Sampdoria in buone mani. Ferrero ha superato tutti i filtri e possiede lo stile che piace alla mia famiglia”. Gelo e stupore fra i giornalisti convocati con brevissimo preavviso alla conferenza stampa di presentazione. La trattativa era durata qualche mese, disse Garrone, e si era concretizzata il giorno avanti. Nessuno ne era stato informato, neppure il vicepresidente. Fabrizio Parodi né la consigliera Monica Mondini, unica tifosa sampdoriana di una famiglia, i Mondini, genoani accaniti. Il capostipite Gian Piero Mondini, il cognato di Duccio (aveva sposato la sorella) era stato trascinato nell’avventura blucerchiata costata - a conti fatti – oltre 300 milioni di euro ai Garrone-Mondini, riuniti nella San Quirico spa, la cassaforte di famiglia. Scomparso Garrone senior, i Mondini avevano detto basta. “Adesso si vende la Sampdoria. Non vogliamo più perdere 30 milioni ogni anno”. Rimasto solo al comando, Edoardo Garrone aveva dovuto cedere il club ereditato dal padre Duccio, in un anno e mezzo lo aveva riportato alla serie A e lo aveva tenuto con dignità e qualche exploit, la finale di Coppa Italia perduta con la Lazio nel 2009. Purtroppo i tempi erano cambiati. e a Genova fare calcio con due squadre diventava sempre più arduo. E costoso. E allora, addio Sampdoria.  Ma perché cederla a quello sconosciuto che parlava con un pesantissimo accento romanesco, gesticolava e prometteva che sarebbe diventato un grande tifoso della Sampdoria? Nato a Testaccio, Ferrero aveva il cuore giallorosso eppure, come precisò in seguito, il cuore restava alla Roma, la testa era per la Sampdoria. O viceversa, non forniva mai l’identica versione. 

    Parlai quel giorno stesso del 2014 con Beppe Marotta allora alla Juve. “Beppe – gli chiesi - conosci questo Ferrero? “Mai sentito? Se Edoardo mi avesse detto che voleva vendere la Sampdoria, gli avrei indicato due o tre miei imprenditori amici felici di acquistarla”.  Nell’estate 2015 il magnate del petrolio nigeriano, Gabriele Volpi, in gioventù tifoso della Sampdoria, in partnership con Flavio Briatore e con l’industriale Vittorio Malacalza (Volpi e Malacalza erano entrati in Carige come soci di maggioranza) offrirono a Ferrero 30 milioni per avere la Sampdoria. Il Viperetta aveva compreso quale gallina dalle uova d’oro fosse il club e respinse l’offerta, Dietro di lui dunque non c’era proprio nessuno, tantomeno Garrone. Ferrero era il padrone del club e faceva quello che voleva. 

    Perché lui?, si chiedevano quel giorno di giugno del 2014, gli sbalorditi giornalisti presenti, mentre Ferrero, nell’imbarazzo generale si infilava la canonica maglia blucerchiata davanti alle telecamere e ai fotografi scatenati. Già, perché? I segugi delle redazioni si scatenarono e fiorirono le versioni, comprese le più improbabili. Garrone ha venduto a Ferrero per vendicarsi della contestazione dei tifosi all’indirizzo di suo padre (era volato persino qualche sputo) e per lo striscione, apparso nella gradinata Sud, in cui perentoriamente si affermava che “Il pesce puzza dalla testa”. Ossia dal vertice della società. Logico. Ma troppo semplice. Tanto più appena si scoprì che in realtà Edoardo Garrone non aveva venduto la Sampdoria a Ferrero. Gliela aveva regalata. Sì, regalata. Quattordici milioni di euro in azioni del club offerte in regalo come una strenna natalizia fuori stagione. Di più, la famiglia Garrone-Mondini aveva ingrassato il cadeau sottoscrivendo 25 milioni di fideiussioni bancarie senza le quali Ferrero, non precisamente un re Creso, non avrebbe retto agli impegni finanziari. Nel corso degli anni Garrone avrebbe assicurato a Ferrero una sessantina di milioni cash per gestore la Sampdoria. Resta sbalordito come un signor nessuno, conosciuto negli ambienti romani come un galoppino sui set cinematografici, fosse riuscito a conquistarsi la fiducia di una importantissima famiglia di imprenditori quale i Garrone-Mondini, un tempo petrolieri e oggi riconvertitisi alle energie alternative. Il contatto lo aveva propiziato un avvocato romano, Antonio Romei, che aveva assistito Ferrero nella controversia  per il rimborso (mancato) di un prestito acceso per acquistare dal fallimento Cecchi Gori la catena dei cinema romani. Tra questi il cinema Adriano, una sala prestigiosa. Attraverso il collega De Martino, cognato dei Garrone, Romei aveva agganciato la proprietà della Sampdoria, in cerca di un acquirente: “Io ce lo avrei. E’ il signor Ferrero, stava provando a comprare la Salernitana…”. Detto e fatto. Romei sarebbe stato il suo nume tutelare in Sampdoria (una sorta di fiduciario di Garrone) per cinque lunghi anni, fino alla rottura tra i due del 2019. Ferrero lo cacciò sospettando che Romei tenesse le parti della cordata Vialli che col finanziare James Dinan trattava per acquistare il club. Trattativa giunta al traguardo nell’estate del 2019 e fatta saltare da Ferrero con l’ennesimo rilancio. Accettando quell’offerta il Viperetta si sarebbe messo in tasca 80 milioni di euro. Peggio per lui. Adesso non vedrà un euro, i concordati richiesti per due delle sue aziende (una la Eleven Finance è coinvolta nell’inchiesta di Paola nonché nell’inchiesta romana per la quale Ferrero è indagato per bancarotta fraudolenta) hanno messo la Sampdoria a garanzia e il club sarà venduto in poche settimane. A chi? Ma a Dinan, naturalmente. Con Vialli il finanziere da mesi stava tessendo la tela. Senza fretta. Attendendo che Ferrero cadesse nella trappola che lui stesso si era preparata. Va ricordato che nel 2016 Ferrero aveva patteggiato una condanna a un anno e dieci mesi per la bancarotta fraudolenta della Livingston, una compagnia aerea. Il giorno della presentazione alla stampa genovese, era reduce da Busto Arsizio, dove stava appunto rispondendo alle domande dei pm titolari dell’inchiesta Livingsto., Eppure aveva superato tutti i filtri… E quel soprannome, il Viperetta… Glielo aveva affibbiato in gioventù un attore sul set, un tizio con le mani troppo lunghe e si era beccato uno schiaffone. Viperetta, Doveva mettere in guardia, no? La vipera morde e avvelena. Non dà scampo. Stavolta invece alla fine la vipera ci ha lasciato la ghirba e ora a San Vittore piange e si dispera. Lo ha raggiunto anche la figlia, Vanessa, lei era la frontwoman, l’amministratrice in tutte le società di famiglia, ma gli affari, i giudici lo hanno chiaro, li manovrava lui. Il Viperetta.

    Riavvolgiamo il nastro. In pochi mesi Massimo Ferrero assurgeva alla notorietà. Simpatico, ridanciano, la battuta romanesca sempre sulla punta della lingua, poco a poco aveva conquistato anche il diffidente pubblico sampdoriano. Era riuscito a confermare Sinisa Mihajlovic alla guida della squadra e nella sua prima stagione da presidente la Sampdoria aveva centrato un prestigioso settimo posto. Il forfait del Genoa, giunto sesto, dalle coppe europee le aveva spalancato le porte dell’Europa, subito richiuse, i Carneadi del Vojvodina avevano eliminato i blucerchiati nei preliminari di Europa League. Da lì in poi, molta altalena. Due volte a rischio retrocessione, prima con Zenga e Montella e in epoca Covid grazie a Claudio Ranieri al quale era riuscito il miracolo di trarla in salvo quando sembrava spacciata. L’anno scorso, addirittura il nono posto. Troppo popolare il tecnico romano, a Ferrero dava ombra. E allora via, Ranieri, e in panchina D’Aversa. appena retrocesso col Parma. Altro giro, altro regalo. Non più quello di Garrone perché dal 2019 Ferrero doveva camminare con le proprie gambe. Rivelatesi di pastafrolla. L’anno scorso un bilancio in rosso per quasi 15 milioni. Quest’anno i conti a picco. 50 milioni di passivo di gestione attesi e il cda, impotente metterà in vendita le quote del club. Dinan e Vialli sono pronti. Sentono odore di sangue e spuntano come funghi i pretendenti dell’ultima ora. Il bolognese Zanetti di Segafredo già ci aveva provato due anni fa. Come Platek e Krause, costretti a ripiegare su Spezia e Parma di fronte al “non vendo la Sampdoria” pronunciato da Ferrero. I giochi ora sono fatti. Forse prima di Natale, forse dopo (le vie delle procedure sono infinite e bisogna agire prima dell’eventuale sequestro delle quote in Sampdoria che fanno capo a Vanessa Ferrero) la Sampdoria, liberata, tornerà nelle mani giuste. E la Sud conterà “Luca Vialli Luca Vialli, luca Vialli alé alé. Noi ti amiamo e ti adoriamo tu sei meglio di Pelè”. Prossima tappa, il ritorno di Roberto Mancini. Sognare si può, no?

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