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Gasperini l'oro di Bergamo: ha fatto incassare all'Atalanta quasi 200 milioni

Gasperini l'oro di Bergamo: ha fatto incassare all'Atalanta quasi 200 milioni

  • Dario Donato
    Dario Donato
Che tutto abbia avuto inizio quel 2 ottobre del 2016. E’ probabile. Gasperini, sulla panchina dell’Atalanta già in bilico dopo 6 punti in 6 partite, quartultima posizione, si trova davanti il Napoli di Sarri, secondo, imbattuto e calcio champagne. Il Gasp fa finta di non ricordarsi di essersi risollevato la settimana prima battendo il Crotone e cambia tutto: dentro i giovani. Pare un azzardo senza senso con Caldara, Conti, Gagliardini, Petagna. Tutti dall’inizio, tutti ai primi vagiti di Serie A. E invece cambia qualcosa nella storia dell’allenatore e inizia una specie di miracolo sportivo ed economico sotto il cielo di Bergamo. Per i tifosi, si, ma soprattutto per la proprietà. 

Roberto Gagliardini dopo altre 10 presenze in neroazzurro viene ceduto all’Inter a gennaio per 30 milioni più bonus pagabili in due esercizi, poco meno della somma del ricavato di tutte le cessioni dell’estate precedente: Maxi Moralez, Zappacosta, Baselli, Benalouane, Grassi, De Roon etc. Con quell'operazione il presidente Percassi e la dirigenza cambiano passo in modo evidente nella gestione del turnover della rosa. L’Atalanta diventa una oreficeria di lusso, dove chi vuole comprare paga a prezzi parecchio più alti rispetto al passato, quando il settore giovanile sfornava talenti con cartellini in linea col mercato. La magia di Gasperini l’alchimista è il mantenere la squadra competitiva, rimontando ogni volta il Lego, forse anche migliorandolo. 

Senza ripercorrere la parabola sportiva della stagione 2016/17 quella del record di punti e del traguardo europeo e guardando ai numeri, quell’anno l’Atalanta sembra il Monaco della stagione magica di Jardim. Un’infornata di diamanti con cui monopolizzare il mercato. Tralasciando i prestiti con pagamento dilazionato e guardando al saldo complessivo, a fine stagione, con lo storico ritorno in Europa League, l’Atalanta cede anche Andrea Conti, Mattia Caldara (resta ancora a Bergamo un anno) e Franck Kessie. Conti con il suo bagaglio di 8 gol in Serie A va al Milan per 24 milioni più il cartellino di Pessina, valutato circa 3 milioni. Mattia Caldara viene acquistato dalla Juventus a gennaio per 19 milioni, dopo 4 mesi di Serie A e lasciato a maturare ancora sotto la guida del Gasp. Kessie rientra nella campagna acquisti faraonica del duo Fassone&Mirabelli e passa in rossonero per 32 milioni di euro con la formula del prestito biennale più obbligo di riscatto, cioè una specie di derivato finanziario ormai molto diffuso che l’Uefa permette ai fini del FFP, ma che andrebbe quantomeno discusso. L’ivoriano nel gennaio 2015 era stato acquistato dalla Stella Club d’Adjamé per meno di 300mila euro. Dopo un anno e mezzo Gasperini plasma un’altra plusvalenza da record. 

Con la cessione di 4 giocatori, che a inizio stagione avevano esperienza pressoché nulla in Serie A, nelle casse dei Percassi entrano circa 105 milioni, seppur una parte in maniera dilazionata dalla formula dei prestiti. Con dei margini da non credere, se si pensa che Conti era stato pagato circa mezzo milione di euro dalla Virtus Lanciano, Caldara è un prodotto della manifattura di Zingonia, Gagliardini idem. 
Con una fetta dei proventi lo stadio Atleti Azzurri d’Italia è stato acquistato dal comune ed è partito un progetto di ammodernamento. La scintilla di Gasperini, che tutti all’epoca interpretarono come un rischio, era in realtà un progetto. Investire sui giovani, di cui spesso si teorizza senza mai passare all’atto pratico, e poi cederne alcuni reinvestendo i proventi per mantenere uno standard di livello. 

Qui non ci dilunghiamo sugli acquisti, ma a fronte di cessioni per gli importi di cui abbiamo già detto, nell’anno del suo arrivo Gasperini vide approdare a Bergamo Gianluca Mancini e Hans Hateboer per meno di un milione complessivo. Una cifra irrisoria, i cui multipli sono oggi più che mai evidenti, soprattutto nel caso di Mancini, miglior difensore goleador d’Europa (dejà vu con Caldara e Conti) che è seguito da quasi tutte le grandi squadre. 
Nella stagione scorsa l’operazione in uscita più eclatante è stata sicuramente quella di Alessandro Bastoni, diciottenne iscritto a bilancio dell’Inter per la cifra esorbitante di 31 milioni di euro. In questo caso forse dire che il ragazzo sia stato valorizzato da Gasperini è pure eccessivo, considerati i 240 minuti giocati in Serie A in due stagioni. Si potrebbe piuttosto sostenere che ad Appiano Gentile non abbiano voluto farsi sfuggire un prospetto e l’abbiano pagato parecchio, salvo poi prestarlo al Parma. 

Si aggiunge poi l’operazione illuminata di Cristante, riportato in Italia dopo una parabola in ombra al Benfica con sponda Palermo-Pescara, costato 5 milioni di euro e rivenduto alla Roma un anno e mezzo dopo a 30, dopo averlo reso il centrocampista più prolifico dello scorso campionato con 9 gol. E in questo caso non si possono non riconoscere i meriti e la mano dell’allenatore dell’Atalanta nella sua resurrezione sportiva. Un’altra plusvalenza monstre, realizzata in un tempo da record. 
Stesso copione, stessa mano, nel caso di Andrea Petagna, sebbene su di lui Gasperini abbia lavorato sull’arco di un biennio. Acquistato dal Milan per un milione di euro e rivenduto alla Spal per 3+12 (in caso di salvezza) dopo averlo reso un attaccante che sa giocare per la squadra e per i compagni, nonostante non sia indubbiamente un gran realizzatore.
Insomma fino a oggi la panchina di Gasperini ha generato incassi sul mercato in uscita per circa 200 milioni, considerando anche altri giocatori che non abbiamo citato, ma per importi assolutamente inferiori a quelli presi in esame. 

E i costi in entrata? Il riacquisto di Marten de Roon a 13,5 milioni è stato il più esoso della gestione Percassi (prima dell’arrivo di Zapata) ma anche in questo caso si può ragionevolmente dire che abbia acquisito un valore di mercato anche più elevato di quanto speso per riaverlo. E Ilicic? strappato alla Viola per 5,5 milioni ha garantito 11 gol al primo anno e 6 in questa stagione. 
E poi proprio Duvan Zapata. Prestito biennale e riscatto dilazionato, ma comunque una operazione da quasi 25 milioni con la Sampdoria. Alzi la mano chi a inizio stagione non ha accarezzato l’idea che fosse un acquisto un po’ fuori dagli standard atalantini, per un giocatore tecnicamente inappuntabile ma con un record di 11 gol in Serie A. Partito in modalità standby, forse per la difficoltà di adattarsi a un gioco dispendioso come quello gasperiniano, nelle ultime 7 partite giocate ha segnato 13 reti. Quattro solo un paio di giorni fa contro un inerme Frosinone. Dubbi sull’economicità dell’operazione? Spazzati. 

Per quanto tutta la dirigenza dell’Atalanta nell’ultimo triennio abbia lavorato con una precisione chirurgica, senza sbagliare quasi un colpo, gran parte del merito va ascritto a Gasp il taumaturgo. Lo stesso che il 2 ottobre del 2016 ribaltò il tavolo sbattendo in campo un progetto ben delineato, mentre tutti pensavano fosse una follia estemporanea per confondere Sarri. 
Lo stesso su cui ancora in tanti si interrogano, domandandosi se non “meriti una big”. La verità è probabilmente che, oggi, sono le big a non meritare Gasperini perché non saprebbero accettare di mettere a repentaglio eventuali obiettivi di classifica per lanciare giocatori del vivaio o valorizzarne altri pagati da quasi perfetti sconosciuti. Le grandi squadre puntano giustamente alla Champions, acquistando giocatori già pronti, salvo poi smontare le rose a caro prezzo se i risultati non arrivano. Gasperini invece le rose le smonta e le rimonta in base alla proprietà invariantiva. Nel frattempo produce plusvalenze come in una catena di montaggio e resta sempre al di sopra delle aspettative del suo popolo. Ma in una dimensione dove ha libertà di movimento totale. Ecco perché, al momento, un suo approdo su un’altra panchina non converrebbe a nessuno. Alla famiglia Percassi in primis. 
 

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