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  • Gazzoni Frascara, se n'è andato uno degli ultimi gentiluomini del calcio

    Gazzoni Frascara, se n'è andato uno degli ultimi gentiluomini del calcio

    • Furio Zara
      Furio Zara
    Se n’è andato un gentiluomo, uno degli ultimi nel circo del pallone, un presidente mecenate che si è mosso con eleganza in un calcio - quello degli anni ’90 - che stava cambiando profondamente pelle. E’ morto Giuseppe Gazzoni Frascara, aveva 84 anni. E’ stato presidente del Bologna dal 1993 al 2005 (negli ultimi anni era rimasto da proprietario). E’ stato - soprattutto - l’uomo che ha portato Roberto Baggio a Bologna, nella favolosa estate del 1997, a seguito di un’operazione che resterà nella storia di un club che in queste ore lo ricorda così: «Ha sempre spiccato per saggezza e stile». 



    Nato a Torino, di famiglia bolognese, laureato in farmacia, specializzazione a Oxford, figlio di uno dei primissimi presidenti del Bologna e nipote del fondatore dell’Idrolitina, la polvere che - fin dai primi del ‘900 - si aggiungeva all’acqua per renderla effervescente, rampollo conteso dai salotti buoni d’Italia, amico in gioventù della famiglia Agnelli (poi il calcio segnerà uno strappo violentissimo); Giuseppe Gazzoni entra nel mondo del calcio nel 1993, quando rileva il Bologna «per senso civico e amore di questa città». E’ un Bologna che ha subito l’onta del fallimento e naviga in acque limacciose, Gazzoni in pochi anni lo trasformerà in un club modello. Ha modi schivi, riservati, quasi snob, tiene le distanze dal popolo; ma si rivela un presidente saggio, attento ai bilanci, persino entusiasta al Dall’Ara, capace di scelte sempre oculate e talvolta sorprendenti. Nel suo percorso due promozioni - dalla C alla A con Ulivieri in panchina - due settimi posti, un Interoto, una semifinale di Coppa Uefa. 

    Resterà nella storia per aver portato il trentenne Roberto Baggio in rossoblù, consentendogli di giocare una delle sue stagioni più strabilianti, quella della rinascita e della rincorsa al Mondiale del 1998, che conquisterà sul campo segnando come mai gli è successo in carriera (22 gol). Baggio arriva dal Milan e se ne andrà all’Inter, ma con la città di Bologna - seppure per un solo anno - costruirà un rapporto fortissimo. Era già del Parma, Roby. 3,5 miliardi di lire, affare chiusero. Poi arrivò il no di Ancelotti, che non lo riteneva funzionale al suo 4-4-2. Si inserisce Gazzoni e lo prende per 5,5 miliardi di lire, nonostante l’allenatore Ulivieri non lo volesse. La risposta di Bologna fu un fuoco d’artificio: 27.000 abbonati, cifre impensabili oggi. 

    Nei 12 anni di presidenza, Gazzoni ha portato a Bologna qualche campione ed eccellenti giocatori. Baggio, certo. Poi Beppe Signori, rinato pure lui e divenuto bandiera della squadra. Gli svedesi Andersson e Ingesson, il giapponese Nakata, il sublime bielorusso Kolyvanov, senza dimenticare che quella squadra - allenata negli anni d’oro da Ulivieri, Mazzone e Giudolin - poteva contare su un gruppo di italiani - da Pagliuca a Marocchi fino a Locatelli - di altissimo livello. Sono gli anni in cui Gazzoni Frascara si fa molti nemici, denunciando il «doping amministrativo». L’anno sciagurato è il 2005 (anno segnato - come si scoprirà poi - da Calciopoli), quando dall’illusione dell’Uefa, la squadra precipita in zona retrocessione e perde lo spareggio col Parma. Gazzoni cede il Bologna alla triade composta da Cazzola, Menarini e Bandiera. 

    Da quel giorno nulla sarà come prima. Pur uscito dal calcio, Gazzoni continua a combattere contro il Sistema, la Juventus di Moggi (lo definì «uno strafottente») diventa l’antagonista di una battaglia che arriverà nei tribunali. Disse in varie interviste: «La Juve, che è responsabile per il 70% di Calciopoli, è stata furba nel riuscire nel processo ordinario ad addossare tutte le colpe a Moggi e a far si che venisse prosciolta in quanto lo stesso Moggi agiva anche per interesse personale». Per anni Gazzoni riaffermò il valore della trasparenza sugli inganni. Aveva chiesto 70 milioni di risarcimento per una retrocessione «decisa a tavolino». L’anno scorso - a gennaio - la Corte d’appello di Napoli ha rigettato definitivamente la sua richiesta di risarcimento perché - come scritto nelle 56 pagine della sentenza - «manca la prova che, in assenza delle frodi sportive, i risultati delle singole partite sarebbero stati diversi certamente». Nel 2014 - per volontà di Joe Tacopina - era diventato presidente onorario del club. 

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